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Da "Notizie Radicali" del 28/04/2008

Quanti ceri sospetti a Sant'Infrastruttura: lettera aperta a Emma Bonino.

di Guido Biancardi

Come sai meglio di tutti noi, cara Emma, governare è una responsabilità, ed un'arte, difficile. Quante volte hai giustamente rivendicate e l'una e l'altra nella tua posizione di Ministro (o quella di Commissario, o....), quando dicevi che  “bisogna a volte fare cose impopolari per non essere antipopolari”. Sono ancora una volta, come sono sempre stato, con te, in merito.

Ma, oggi, sento il bisogno di sollecitare la tua sensibilità di politico che si assume l'onore di scelte di governo anche quando al governo non c'è, “mettendo il dito in una piaga“ che mi sembra sempre meno in via di guarigione; anzi, in fase di ulteriore “corruzione”, ed in rapido peggioramento: quella delle Infrastrutture Necessarie, ovvero (anche se non del tutto coincidenti nella vulgata dei media), delle cosiddette “Grandi Opere”.
 
Opera/Opus (o più semplicemente “pus” per quel che vedo sempre più frequentemente) evoca già qualcosa di inquietante per le democrazie liberali laiche, soprattutto se seguita dalla specificazione del suo Autore (Dei, quindi). Ma è sul Grande che occorre fissare un'attenzione non distratta. Che i lavori del ponte sullo stretto siano certamente, sia di notevoli dimensioni che di cospicuo investimento (e così quelli della TAV, o di nuove autostrade, di terra come “del mare“) non c'è alcun dubbio; diverso è però se l'aggettivo, al maiuscolo per marcarne la simil-santificazione o per lo meno l'anticipata mitizzazione che sa un poco troppo di  spot governativo, vuol stare ad indicarne non solo la dimensione ma anche la “qualità superiore”.
 
Roberto Perotti, che condivido, in prima del “Sole 24 Ore” di domenica 27 Aprile ha scritto “sei domande sulle nuove infrastrutture pubbliche” in cui si interroga sul silenzio degli imprenditori su Alitalia e sull'altrettanto afono contributo degli organi di stampa e della politica nel merito di altre grandi opere, in specie sulla TAV, di cui ipotizza e sostiene che ormai si persegua la realizzazione indipendentemente da ogni anche minima valutazione della convenienza per il Paese, e non solo in termini di rapporto puramente finanziario di costo/benefici.
 
Io vorrei aggiungervi, per indirizzarla con quell'articolo a Te, Emma, la notazione che il tema delle infrastrutture è certamente “il” tema di programma assolutamente bipartisan, cosa che invece di rassicurarmi sulle intenzioni e la presunta “maturità democratica” raggiunta dalle forze politiche in Italia, mi inquieta, e molto.
 
Il motivo di questa inquietudine è costituito da due “fatti politici” ormai credo evidenti, che rendono il panorama delle prospettive delle scelte di governo della prossima legislatura pieno di ombre che ti chiederei di dissolvere, se puoi. Il primo “fatto” è che la situazione economica nazionale e soprattutto internazionale, unita alle peculiarità  italiane (negative e di cui faremmo a meno volentieri) rendono molto difficile se non quasi impossibile far sì che il Governo dello sviluppo del Paese possa essere realizzato con uno Stato che si fa promotore delle “condizioni più favorevoli“ ad esso e non invece che interviene nell'agone dell'economia come player diretto, in sostituzione di altri assenti (e non per “inappetenza economica e finanziaria” mi sembra, almeno a guardare al fu LCdM* ed ora alla tua omonima  Marcegaglia ma quasi attirati e perennemente in preda ad una sindrome da anoressia e bulimia politiche, dove lo Stato diviene per essi di volta in volta il tramite ed il complice più che il Garante).
 
Quindi “si deve intervenire“ con attività di investimento pubblico in ogni possibile occasione anche in settori che in altri Paesi non sono così trascurati (vedi la ricerca) come da noi in Italia. Il rischio, o la certezza quasi, che ciò determini necessariamente effetti “antipopolari”, è ”insito” in questa nostra anomalia. Ed i riflessi dottrinali di recupero dei Keynesismi d'emergenza che ogni crisi economica globale inevitabilmente porta con sé, non bastano a giustificare del tutto, ed a ridurre entro compatibilità, tale rischio.
 
Ma c'è un secondo “fatto” che mi sembra legittimare la crescita delle preoccupazioni: quello per cui quando le parti politiche contrapposte nella competizione democratica si accordano trovando un allineamento sulle scelte più gravi che si presentano al Paese, questo è segno di attenzione all'interesse generale  e quindi “anche“ popolare (gli “ultimi” di Ernesto Rossi...); mentre, in “regime partitocratico” lo stesso atteggiamento è invece sintomo ed espressione di una “volontà particolare“ e quindi necessariamente antipopolare. Non occorre rifarsi solo ad  nostro mantra politico del “caso Italia” per cogliere questa verità, o, perlomeno, questo “dato di fatto”, di un Regime operante in Italia.
 
In aggiunta, la nostra responsabilità politica cresce ulteriormente a causa dell'assenza dei Verdi dalla rappresentanza parlamentare, ed anche della sinistra estrema (“estrema“ come noi che però “estremisti” non siamo a differenza di molti nell' “arcobaleno” ormai giubilato). E certo che il livello di presidio di tutto ciò che ha un impatto ambientale è ormai consegnato alle poche mani ed all'onestà intellettuale oltre che all'integrità politica dei Radicali, e forse di qualche altro parlamentare od intellettuale trasversale e perduto nel proprio sarcofago di partito (noi stessi in un gruppo nel quale non ci sciogliamo, ma nel quale possiamo “essere confusi”).
 
Le scelte ambientali che, esplicitamente, ma ben più pericolosamente vengono assunte in modo implicito come indiretto effetto di scelte di “innovazione e sviluppo infrastrutturale e di integrazione europea (con i Sacri Corridoi ormai in odore di nervature “Eurasiatiche“ quali preconizzate da Orwell )”, sono un costo o un investimento? E per chi? Per il cittadino o per i pirana di regime camuffati da finanzieri ed affaristi sempre a banchetto con servitori di Stato e Parastato?
 
Effetti la cui irreversibilità è proprio ciò che sostiene e determina l'insistenza del Dalai Lama a richiedere l'autonomia (e non l'indipendenza) sulle scelte ambientali intese in senso lato che coinvolgono e condizionano il destino del Tibet (anche lì, per inciso un treno anche se meno veloce, è arrivato a “modernizzare” il Paese, raggiungendo il tetto del cielo).
 
La bellezza come criterio implicito di verità (culturalmente) condivisa viene trascurata, spostata, perchè non disturbi i manovratori, in secondo piano; addirittura confusa nella tappezzeria di tutti i comprimari delle burocrazie, rappresentata indegnamente ma soprattutto in modo inadeguato da improbabili e poco credibili Provveditori.
 
Cara Emma, che hai da sempre dimostrato decisione e nettezza di posizioni apprezzate in quanto garantite da una onestà e flessibilità intellettuali invidiabili, vorrei proprio che ti assumessi, con la tua autorevolezza, anche l'indispensabile (ed anche forse ingrato, come qualcuno poterebbe pensare per chi ne è stata una trasparente sostenitrice) compito di una revisione, a mio avviso doverosa del capitolo Infrastrutture.
 
Lasciando ai sempre disponibili, interessati, salmodiatori delle loro virtù salvifiche la responsabilità di ciò che potrebbe annunziarsi come il più devastante “sacco annunziato“ dell'ormai ex Bel Paese.
 
Non occorre ricordare a te (così come soprattutto a Maurizio Turco che mi è maestro sull'argomento) che ormai si è aggregato attorno al nucleo della Lione-Torino un nucleo di insincerità; quella che ha, in modo quasi da prestigiatore sulle fondamenta della AV ( l'Alta Velocità, ma “del trasporto”, dei tempi di Lorenzo Necci alle Ferrovie, progetto degli anni 70/80 fatto per contrastare l'assoluto dominio ed egemonia del trasporto su gomma separando il trasporto persone da quello merci e quindi prospettando un investimento strutturale in grado di far riassorbire su rotaia quello merci e di rendere competitivo con quello del trasporto aereo quello passeggeri), fatto crescere il TAV (treno ad alta velocità copiato dal TGV Francese) fautore di ben altre priorità come quelle di un aumento della velocità interfrontaliera in prospettiva intercontinentale da un lato ed un incremento della capacità logistica del sud Europa aprendo l'Italia all'invasione dei container di provenienza anche  estremo-orientale,  accettando o scegliendo per l'Italia un ruolo di gestore di fondaci e capannoni gru e TIR con  contorno di  strade, autostrade e ferrovie. Su cui si sarebbe dovuto scaricare il peso di tutto il tratto di logistica integrata della filiera industriale europea (o, almeno sud-europea).

E' il nostro satyagraha che può continuare, così, anche in campo ambientale ad inseguire, imperterrito, la verità; ed a incalzare gli ignavi e gli indifferenti.

NOTE

*Luca Cordero di Montezemolo

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