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Relazione di Federico Gandolfi su ambiente ed energia Stampa E-mail
     
Relazione di Federico Gandolfi: "Ambiente ed energia"
   
Italia come per gran parte dei fatti di cronaca, anche la crisi che stiamo vivendo viene deformata dai mezzi d’informazione (e quando possibile direttamente trascurata). Nel migliore dei casi viene paragonata ad una nuova grande depressione, una replica del 1929, ovvero una crisi dei mercati finanziari causata dall’assenza di regole, cancellate sotto la pressione delle multinazionali e del neoliberismo. Sempre nella migliore delle ipotesi sembra che tornando allo stato sociale, con piani Marshall e politiche keynesiane tutto tornerà come prima.
Dai mezzi d’informazione è casualmente celata l’ipotesi che l’attuale crisi sia strutturale, ed abbia un’origine ambientale. Sia cioè provocata da quelli che oltre trent’anni fa dei ricercatori indipendenti riuniti nel Club di Roma - addirittura un’iniziativa italiana - chiamarono “I limiti dello sviluppo”, o meglio “I limiti della crescita”. Questa pubblicazione non fornisce stime economiche astratte, autoreferenziali ed arbitrarie – ad esempio PIL, inflazione, quotazioni e diffuse ogni giorno dai mass media – ma si basava su parametri puramente fisici come risorse, popolazione, inquinamento, produzione industriale.
Il concetto fondamentale è proprio quello di limite: in un mondo finito non può esistere uno sviluppo infinito. Ogni sorta di sviluppo o crescita che abbia caratteristiche meramente fisiche, come l’aumento della produzione, del consumo e della popolazione, non può espandersi all’infinito. Si tratta di un limite naturale, nel senso che anche l’uomo come ogni altra forma di vita è dipendente dall’ambiente che lo ospita, ed un limite culturale, nel senso che la società umana nel suo complesso si è sempre dimostrata incapace di comprenderlo e imparare a conviverci. Le varie civiltà sono sembrate capaci solo di crescere il più velocemente possibile, andare a sbattere contro questo limite, riprendere da capo.
Prendiamo ad esempio l’energia: negli ultimi due secoli i combustibili fossili come carbone, petrolio e gas hanno permesso una crescita esponenziale della popolazione, e per buona parte di essa anche del benessere. Ma è saggio volere che il nostro benessere resti per sempre legato all’aumento della disponibilità d’energia, soprattutto di energia fossile?
Il petrolio è a tutt’oggi la principale fonte di energia a livello mondiale; ogni aspetto dell’economia è direttamente o indirettamente legato ad esso: per fare un esempio, per estrarre l’uranio necessario alle centrali nucleari servono motori e carburanti, e di conseguenza i prezzi dell’uranio seguono semplicemente quelli del petrolio. Non è difficile capire il segreto del successo del petrolio: fuoriesce sotto pressione dal terreno, è facilmente trasportabile come utilizzabile essendo liquido a temperatura ambiente, infine ha un’alta resa energetica rispetto al suo volume. Oltre tutto questo è, o forse era, molto abbondante: esistono intere nazioni la cui economia si sostenta sull’oro nero, mentre molte altre sono state sfruttate e condannate al sottosviluppo per la stessa ragione.
C’è un problema: è una risorsa fossile, una risorsa finita. Sottoterra esiste solo una certa quantità di petrolio, che man mano viene individuata ed estratta. Se osserviamo la produzione complessiva di tutti i giacimenti mondiali, vediamo che questa non ha mai smesso di crescere: almeno fino al 2007, quando si è stabilizzata sugli 84 milioni di barili al giorno. Secondo le associazioni di ricercatori indipendenti questa soglia rappresenta il “picco del petrolio”, il massimo produttivo oltre il quale sarà impossibile andare: perché i giacimenti più facili sono già stati scoperti, perché costa sempre più estrarlo, raffinarlo e trasportarlo, perché ad un certo punto il petrolio rimasto sottoterra non restituisce nemmeno l’energia necessaria per questo processo di estrazione e lavorazione. In ogni caso anche pagandolo 200 $ dollari al barile non avremo più petrolio, possiamo gettare quanti soldi vogliamo in un pozzo vuoto ma non ne ricaveremo molto: e se gli speculatori hanno gioco facile a farne schizzare il prezzo è proprio perché la carenza aveva iniziato a manifestarsi, almeno prima della crisi.
Questo ci interessa perché come detto il petrolio è tutt’ora la nostra principale fonte d’energia, ed è tutt’ora insostituibile in questa quantità. Tutte le altre risorse, monetarie, fisiche, culturali, sono inutilizzabili se una società non dispone dell’energia per metterle in campo e renderle produttive, e nell’intera storia umana ogni nazione è stata tanto più florida e benestante quanta più energia disponeva, soprattutto a buon mercato. Perché se l’energia è abbondante costa meno costruire, costa meno coltivare, costa meno spostarsi e trasportare merci: la crescita produttiva è strettamente legata alla disponibilità d’energia. Ed una volta che la disponibilità d’energia smette di crescere, ecco il problema: anche la crescita economica si arresta, siamo arrivati ad un limite della crescita.
Di questa crescita economica avremmo potuto farne uso migliore: costruendo meglio, investendo su salute e formazione, combattendo l’inquinamento, ma questo non sembra corrispondeva alla famosa crescita del PIL. Questo perché quello che intendiamo oggi per crescita è una crescita fisica, una crescita dei consumi. La nuova generazione può fare un passo avanti: non è obbligatorio legare la nostra concezione di benessere puramente alla crescita dei consumi, come sono convinte le accademie di economia ed i maggiori partiti politici. Potremmo definire il nostro benessere come riuscire a vivere il più a lungo possibile in buona salute, a ricevere un’assistenza sanitaria universale e gratuita, a poter studiare senza dipendere dal reddito, a spostarci in tempi rapidi con mezzi pubblici, a consumare cibo biologico e locale, a continuare a godere del meraviglioso ambiente naturale della nostra isola. Il benessere potrebbe essere far fronte alla crisi economica più grave senza che nessuno sia lasciato solo e debba rinunciare ai diritti fondamentali. Insomma la nostra vita è molto diversa, molto più variegata e complessa dell’aumento del PIL e del consumo procapite. Se una persona fosse gravemente malata ed impegnata in una causa di divorzio, sicuramente i suoi consumi sarebbero a livelli incredibili, ma si tratterebbe di una persona felice? La realtà è che potremmo definire degli obiettivi politici diversi da quelli teorizzati nelle università private e confindustriali, scegliendo in prima persona quali priorità seguire. E potremmo definire degli obiettivi personali diversi dal mero arricchimento personale, se com’è vero quasi metà degli studenti liceali statunitensi erano propensi a studiare Mercati & Finanza all’università, almeno prima di questa crisi.
Per fare questo ci serve un po’ d’orgoglio, ci serve la voglia di voler essere diversi e di voler diventare un esempio di coesione sociale e crescita collettiva. Alcune nazioni hanno tentato vie diverse, prendiamo altre isole da esempio.
L’Islanda, 300.000 abitanti e grande quattro volte la Sardegna, aveva lo stesso obiettivo: nel giro di pochi mesi è passata dalla più alta qualità della vita al mondo alla bancarotta. Com’è stato possibile, se non finanziando lo sviluppo col debito, diventando un paradiso finanziario e credendo che le risposte al problema energetico fosse l’idrogeno, cioè non una fonte ma un vettore di energia? Perché ci sarebbe bisogno di soluzioni concrete e collaudate, di trovare nuova energia e non di convertire quella già disponibile sotto altre forme in idrogeno, distruggendo il rendimento, evitando attentamente quelle che possono rivelarsi mode.
Un’altra realtà, l’Irlanda: 5 milioni di abitanti su un’area grande tre volte la Sardegna. Sembrava indicare un esempio di sviluppo per la stessa Sardegna, come esposto da molti politici locali: “Se fossimo indipendenti saremmo ricchi come l’Irlanda” si è sentito, ed ovviamente se indipendenti non eravamo mai ricchi come l’Albania ma sempre come l’Irlanda. Il modello era il turismo di massa, aiuti europei a pioggia, multinazionali pronte ad investire grazie al taglio delle tasse… ora che le speculazioni finanziarie stanno venendo meno, le imprese attirate dagli incentivi non hanno più alcun interesse o impegno a restare: i loro azionisti hanno guadagnato finché han potuto, i politici che le invocavano si trovano al punto di partenza, in una nazione dove nella stessa capitale è quasi impossibile farsi capire parlando in lingua irlandese.
            E per pietà sorvoliamo il modello spagnolo, fra siccità cronica e mattone selvaggio. Questo non vuol dire che questi paesi si viva ancora peggio di noi, ma solo che potrebbero pensarci meglio prima di prenderli ad esempio nella nostra innata esterofilia.
Ricordiamo inoltre che dovremo risolvere molto velocemente i nostri problemi, prima di pensare o relazionarci ai problemi altrui e globali. Intorno ai bordi cementificati ed inquinati del mar Mediterraneo si affollano numerosi paesi sovrappopolati, dittatoriali e desertificati, che dovranno affrontare una crisi molto più grave della nostra, e con cui dovremmo imparare a collaborare, volenti o nolenti. Alcuni di questi paesi pur di ottenere acqua potabile sono costretti a prenderla dal mare o addirittura a estrarla delle riserve di “acqua fossile”, laghi sotterranei che ristagnano sotto il deserto da decine di migliaia di anni. Che tipo di sviluppo potranno ottenere da queste basi?
Come potremo incentivare la democrazia all’estero se restiamo schiavi del petrolio e del gas venduti dalle varie dittature? Come potremo garantire la democrazia nel nostro paese senza realizzare per primi una democrazia energetica basata sulla produzione diffusa e lo scambio solidale? Perché soltanto questa è l’alternativa a rimanere dipendenti da pochi grandi complessi industriali, ovviamente privati, che non avranno grandissimi scrupoli ad imporre depositi di scorie e discariche, anche con la militarizzazione del territorio ed il segreto di Stato.
Con l’umiltà che dovrebbe distinguere un movimento politico serio, impegnato nella ricerca di soluzioni concrete, invece che limitarsi ai proclami del Governo che nascondono sprechi e corruzione, lascio la parola a Francesco per capire quali alternative energetiche — quindi economiche — possiamo adottare per rispondere a questa crisi.
    
Libri sul tema:
     
I nuovi limiti dello sviluppo La salute del pianeta nel terzo millennio (AA.VV.) Mondadori 10€
Il mondo senza di noi (Alan Weisman) Einaudi 14€
Breve storia del progresso (Ronald Wright) Mondadori 8€
Shock economy L'ascesa del capitalismo dei disastri (Naomi Klein) Rizzoli 12€
Armi, acciaio e malattie Breve storia del mondo negli ultimi 13000 anni (Diamond) Einaudi 12€
Primavera silenziosa (Carson Rachel) Feltrinelli 9€
Storia petrolifera del bel paese (Bardi, Pancani) Le Balze 10€
       
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