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LA PATERNITÀ RENDE FELICI?

di Daniel Gilbert, 19 giugno 2006
traduzione di Carpanix

Sonora Smart Dodd stava ascoltando un sermone sul sacrificio quando decise che suo padre, un vedovo che aveva allevato sei figli, meritava una festa nazionale tutta per sé. Quasi un secolo dopo, la gente di tutto il mondo dedica la terza domenica di giugno ai padri donando ritualmente dopobarba e cravatte, il che porta milioni di padri a pensare esattamente la stessa cosa esattamente nello stesso momento: “I miei figli”, pensano all’unisono, “mi rendono felice”.

Quei padri potrebbero avere tutti torto?

Gli studi rivelano che la maggior parte delle coppie sposate iniziano la loro esperienza felici, diventano progressivamente meno soddisfatte nel corso della propria vita, facendosi particolarmente sconsolate quando i propri figli sono nell’età dei pannolini e dell’adolescenza, e tornano ai propri livelli iniziali di felicità solo dopo che i figli hanno avuto il buon gusto di crescere ed andarsene. Quando la stampa popolare inventò la malattia chiamata “sindrome del nido vuoto”, dimenticò di dire che il suo sintomo principale consiste in un marcato aumento dell’incidenza dei sorrisi.

Gli psicologi hanno misurato come si sente la gente quando si occupa delle proprie attività quotidiane, ed hanno rilevato che si è meno felici mentre si interagisce con i propri figli di quanto non si sia mentre si mangia, ci si esercita, si fanno acquisti o si guarda la televisione. In effetti, le azioni tipiche dell’allevare i figli rendono la maggior parte della gente felice tanto quanto il fare i lavori di casa. Gli economisti hanno modellato l’impatto di molte variabili sulla felicità complessiva della gente e hanno tutti quanti trovato che i bambini hanno un impatto ridotto. Un piccolo impatto negativo.

Tali scoperte sono dure da mandar giù, poiché contrastano apertamente con le nostre convinzioni più profonde. Noi amiamo i nostri figli! Parliamo di loro a chiunque voglia starci ad ascoltare, mostriamo le loro foto a chiunque voglia guardarle e seppelliamo i nostri frigoriferi dietro ai loro disegni e alle loro foto. Crediamo ciecamente di essere felici con i nostri figli, per i nostri figli e a causa dei nostri figli — perché dunque la nostra personale esperienza contrasta con i dati scientifici?

Le ragioni sono tre.

Primo. Quando qualcosa ci rende felici siamo disposti a pagarlo molto, il che costituisce il motivo per il quale il peggior cioccolato belga costa di più del miglior tofu belga. Ma lo stesso meccanismo può funzionare al contrario: quando paghiamo molto per ottenere qualcosa diamo per scontato che ci renda felici, ecco perché decantiamo le meraviglie dell’acqua in bottiglia e dei calzini di Armani. La compulsione a prenderci cura dei nostri figli è stata scritta nel nostro DNA molto tempo fa, per cui lavoriamo e sudiamo, perdiamo il sonno ed i capelli, assumiamo il ruolo di infermieri, di massaie, di autisti e di cuochi, tutto perché la natura non vuole che si faccia diversamente. Visto il prezzo enorme che paghiamo, non deve sorprendere che si tenda a razionalizzare quei costi per concludere che i figli ci ripagano con la felicità.

Secondo. Se due squadre di calcio stessero 0-0 fino al momento in cui il portiere dell’una segnasse direttamente nella porta avversaria, potreste stare sicuri che i tifosi della squadra vincitrice ricorderebbero quella partita come la migliore della stagione. I ricordi sono dominati dagli eventi più importanti, non da quelli più comuni. Proprio come una partita memorabile può spazzare dalla nostra memoria le altre innumerevoli partite noiose, così il momento sublime nel quale il nostro bimbo di tre anni alza gli occhi dalla massa informe di patate e piselli che ha rimescolato per ore nel piatto e dice: «ti voglio bene, papà» è in grado di farci dimenticare otto ore di «no», «non ancora», «non adesso» e «non chiedere più». I bambini possono non renderci felici molto spesso, ma quando lo fanno, la felicità è tanto trascendente quanto generatrice d’amnesie.

Terzo. Sebbene la maggior parte di noi pensi all’eroina come ad una fonte di miseria umana, in realtà bucarsi non fa sentire miserabili. Fa sentire davvero, davvero bene — tanto bene, in effetti, da mettere in ombra ogni altra fonte di piacere. Famiglia, amici, lavoro, gioco, cibo, sesso — nulla può competere con quell’esperienza narcotica; quindi, tutto viene messo da parte. L’analogia coi bambini è fin troppo chiara. Anche se la loro compagnia fosse un piacere senza sosta, il fatto che richiedano così tanta compagnia fa sì che ogni altra fonte di piacere scompaia. Cinema, teatro, feste, viaggi — sono solo alcune delle parole che i genitori di figli piccoli dimenticano spesso come si faccia a pronunciare. Crediamo che i nostri figli siano la gioia più grande, e abbiamo assolutamente ragione. Quando la gioia è una sola, non può che essere la più grande.

I figli ci daranno anche molte cose, ma una maggior felicità media giornaliera non è probabilmente tra queste.

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Lo psicologo di Harvard Daniel Gilbert è autore di Stumbling on Happiness.

http://www.oilcrash.com/temp/felicita.htm

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