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Italia e crisi energetica globale Stampa E-mail

Sul modo italiano di affrontare la crisi energetica globale: ovvero come aggiungere errori a errori
di Fabio Roggiolani*
(con la collaborazione di Francesco Meneguzzo e Ugo Bardi)

Sostiene il nostro Presidente del Consiglio che in Italia le cose non vanno tanto male; concediamoglielo pure: la liquidità è ancora abbondante, il benessere abbastanza diffuso, nonostante segni non nuovi ma sempre più gravi di sofferenza di strati crescenti della popolazione.
Sosteniamo noi, invece, che non è più tanto, o meglio non è soltanto, una questione di soldi, ma di qualcosa di molto più profondo e basilare: quasi letteralmente, ci sta venendo a mancare la terra sotto i piedi, quella terra su cui tutta la nostra civiltà, il benessere l'abbondanza e la coesione sociale si fondano, che è l'energia.
Dalla rivoluzione industriale in poi, la vocazione dell'Italia, Paese privo di risorse energetiche importanti, è sempre stata quella di usare l'energia, acquistata fino a poco tempo fa a basso prezzo, per trasformare le materie prime o semilavorate in prodotti finiti, vocazione fondata sulla conoscenza e il know-how. Se la capacità di apprendere e innovare sono state colpite duramente dalla politica dell'educazione e della formazione praticata da questo Governo, è sul costo dell'energia e perfino sulla sua disponibilità che si concentra la nostra grande preoccupazione. Un problema di enorme complessità che solo forze politiche responsabili, capaci, che godono della fiducia delle migliori energie del Paese, potranno affrontare senza esitazioni e con la massima priorità e urgenza.

Dice il proverbio che "le disgrazie non vengono mai sole" e sappiamo anche che "i nodi vengono al pettine". In questo momento, tutti i nodi del problema energetico si stanno intrecciando tutti insieme nel grande pettine del sistema geopolitico mondiale. Tutti abbiamo notato i prezzi del petrolio fuori controllo, nuovamente verso i 70 dollari al barile, e le incertezze nella fornitura di gas naturale. Ma non é solo questo il problema: i prezzi di tutte le materie prime stanno andando alle stelle, inclusi di quelle che ci vengono proposte come "alternative" al petrolio. Il carbone si sta avvicinando ai 60 dollari alla tonnellata (da sotto i 20 che era pochi anni fa) e l'uranio, tanto decantato come risorsa inesauribile, sta salendo di prezzo a livelli stratosferici. In questa situazione é ovvio che non c'é da stupirsi se oscure nubi di guerra si affacciano all'orizzonte. Se la situazione continua in questo modo, le conseguenze su economie come la nostra, che dipendono quasi al 100% da materie prime importate dall'estero, non possono essere che disastrose. E, del resto, lo stato della nostra economia materiale é già disastroso.

Purtroppo, la situazione comincia ad apparire molto chiara. Per quanto riguarda il petrolio, la risorsa più importante e più studiata, possiamo arrivare alla conclusione che non é infinito e che la limitatezza fisica della risorse comincia a farsi sentire. Delle grandi regioni petrolifere mondiali, alcune sono già in netto declino. L'esempio classico é quello degli Stati Uniti, la cui produzione declina costantemente dal lontano 1971. Ma anche il petrolio del Mare del Nord ha cominciato a declinare da qualche anno e Paesi una volta esportatori, come l'Indonesia, sono diventati importatori (e con enormi difficoltà). Pochi Paesi sembrano in grado di aumentare ancora la loro produzione, per esempio la Russia, che ci si aspetta possa continuare con incrementi di qualche punto percentuale ancora per qualche anno.

Ma il "cuore" della produzione petrolifera mondiale é il Medio Oriente, ed é laggiù che le maggiori preoccupazioni appaiono. Se fino a pochi anni fa l'ottimismo regnava, con affermazioni lanciate come se fossero ovvie "L'Arabia Saudita raddoppierà la propria produzione nei prossimi anni", oggi ci si preoccupa piuttosto di capire se il Medio Oriente riuscirà anche soltanto a mantenere per ancora qualche anno la propria produzione ai livelli attuali. Dubbi su questa effettiva capacità da parte dell'Arabia Saudita erano stati già lanciati da Matthew Simmons l'anno scorso con la sua analisi riportata nel libro "Twilight in the Desert". Alla luce di quell'analisi, la notizia recentissima che il Kuwait ha dimezzato la stima delle proprie riserve non arriva certamente come una sorpresa.

A fronte di questa situazione di generale declino, non ci sono prospettive di scoperte che potrebbero invertire la tendenza. Ci sono notizie abbastanza interessanti di giacimenti di petrolio "profondo" (deepwater) che potranno alleviare, ma non risolvere, il problema. Ci sono rapporti interessanti dal mare della Cina, ma vista la situazione attuale, sembra chiaro che se si troveranno grandi giacimenti in quella zona, questi serviranno soltanto ad alimentare la fame energetica della Cina. Per quanto riguarda l'osannata area del Caspio, appare chiaro oggi che i proclami di immense riserve che si facevano fino a non molti anni fa sono stati enormemente esagerati. L'area del Caspio contiene sicuramente quantità di petrolio interessanti, ma niente che possa anche lontanamente invertire la tendenza mondiale al declino della produzione. Per farsene un'idea, basta dire che la somma delle riserve stimate dei due pozzi più grandi dell'area (Tengiz e Kashagan) non basterebbe a soddisfare la richiesta di petrolio mondiale per un anno.

La situazione delle riserve di altre materie prime é complessa e molto meno studiata di quella del petrolio. Da quanto appare in questi giorni, comunque, c'é poco da sperare dal gas naturale per sostituire il petrolio. Addirittura, c'é stato in questi giorni chi ha seriamente proposto di mandare a petrolio le centrali elettriche a metano (questo con il petrolio a quasi 70 dollari al barile!!). Lo stesso vale per l'uranio, la cui produzione mineraria non riesce a soddisfare oggi più della metà, circa, delle esigenze degli attuali reattori in funzione. Il resto dell'uranio necessario viene fornito in gran parte dallo lo smantellamento delle vecchie bombe ex sovietiche, che non sono certo una risorsa (per fortuna) rinnovabile! Gli aumenti dei costi di un po' tutte le materie prime sembrano indicare una generale situazione di difficoltà che possiamo attribuire in buona parte all'instaurarsi di una condizione in cui le risorse "facili" sono state estratte mentre ora dobbiamo attaccarci a risorse costose e "difficili".

Dicono i saggi (e anche la CEPU) che "la fortuna arride a chi é preparato" come pure che "chi é causa del suo mal, non si lamenti". Non mancavano le indicazioni di cosa stava per arrivarci addosso, già nel 1998 Colin Campbell e Jean Laherrere avevano pubblicato su "Scientific American" (non proprio un giornaletto sconosciuto) il loro avvertimento con il titolo "la fine del petrolio a buon mercato," prevedendo la crisi che si sarebbe sviluppata poi negli anni successivi e che vediamo in pieno svolgimento in questo momento. Più tardi Campbell e Laherrere sono andati avanti fondando l'associazione di scienziati che ha preso il nome di ASPO, che ha continuato ad analizzare la situazione, ribadendo molte volte che ci troviamo di fronte a un grave problema e che, pur lontani dall'esaurimento fisico, il graduale esaurimento del petrolio ci stava portando verso una situazione di carenza di forniture della quale oggi stiamo vedendo i primi assaggi.

Del resto, ASPO non é stato il primo gruppo di scienziati a lanciare questo allarme. Già† nel 1971, un gruppo di ricercatori del prestigioso Istituto di Tecnologia del Massachussets (MIT) aveva prodotto il rapporto per il club di Roma intitolato "I limiti alla crescita" (tradotto in Italiano con il titolo "I limiti dello sviluppo"). Il rapporto del MIT prevedeva che il graduale esaurimento delle materie prime avrebbe portato a una crisi economica mondiale verso il 2010. Il
rapporto é stato ridicolizzato, insultato, denigrato e infamato con tutte le tecniche propagandistiche possibili, fino a convincere tutti che era "sbagliato". Ma gli eventi che stiamo vedendo in questi giorni sembrano dare ragione a quel lavoro di più di trenta anni fa che, del resto, é stato verificato e riproposto di recente con risultati sempre molto simili.

Quindi, eravamo stati avvertiti. Sapevamo di trovarci di fronte a una crisi di disponibilità energetica. La scelta, tuttavia é stata di ignorare gli avvertimenti, di andare avanti a testa bassa, di credere veramente alle bestialità che alcuni autori (per esempio il famigerato Julian Simon, autore di "La risorsa finale") ci hanno propinato raccontandoci con incredibile faccia tosta che le risorse erano "infinite."

Cosa fare ora? L'unica risposta che arriva dal Governo, tanto pretestuosa che pare approfittare di qualsiasi segnale anche per il momento marginale quale il problema del gas Russo, sembrano essere delle urla scomposte di "nucleare, nucleare". Ma possiamo veramente risolvere il problema energetico convogliando le scarse risorse che ci rimangono per passare da una risorsa non rinnovabile e ormai in via di esaurimento (il petrolio) a un'altra risorsa non rinnovabile e ormai in via di esaurimento (l'uranio) (e nessuna delle due disponibile sul territorio nazionale)?. Chi ci garantirebbe la fornitura di uranio in un mondo affamato di energia? Quanto tempo ci vorrebbe per costruire nuove centrali? Dove mettere le scorie in un paese come il nostro, geologicamente instabile e densamente popolato?
Di fronte a queste incognite, non sembra che chi propone il nucleare si preoccupi di dare risposta.
Non é infatti una proposta seria, ma solo una barriera fumogena per proporre altre soluzioni, come il carbone, che d'altra parte é anch'esso un combustibile che sta diventando costoso e che ci lascerebbe comunque dipendenti da forniture da Paesi esteri. Per non parlare poi che mettersi a costruire centrali a carbone vorrebbe dire buttar via tutto quello che si é fatto e si é detto sulla necessità di limitare le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera e il conseguente catastrofico riscaldamento globale (e di catastrofi correlate al riscaldamento globale ce ne sono già arrivate addosso non poche negli ultimi anni).
Carbone, senza retorica, significa morte: per la salute subito, e molto presto per il clima e tutto il pianeta.

Ci sono invece delle soluzioni possibile e ragionevoli per la crisi.
Inizialmente, dobbiamo continuare ad affidarci al gas naturale, il meno inquinante dei combustibili fossili, quello che, per nostra fortuna geografica, si può ottenere da paesi vicini come l'Algeria che fino ad oggi ci hanno dimostrato la loro affidabilità come fornitori.
Dobbiamo anche, come Unione Europea ed eventualmente anche come Paese, finirla di seguire la politica suicida (soprattutto per gli altri) degli Stati Uniti e della loro vana pretesa di isolare la Russia, vera speranza dell'Europa per l'approvvigionamento di materie prime energetiche e non.
E' bene anche chiarire una volta per tutte che le cifre riportate in questi giorni sulle riduzioni delle forniture di gas russo si riferiscono appunto al gas russo, cioé a un quarto dei nostri approvvigionamenti!
Se quindi la pressione del gas russo diminuisce del 5%, il nostro Paese avrà soltanto 1,25% in meno di gas, se diminuisce del 12%, dobbiamo far fronte, eventualmente con le scorte, a un deficit del 3%: cifre tutto sommato modeste, ampiamente entro i margini concessi dallo spreco diffuso di questa risorsa.
Il panico di restare al buio e al freddo, artatamente insinuato, é funzionale a scardinare le certezze dei cittadini, ancora lontani dal poter credere che il futuro dell'energia sia tutto rinnovabile, quindi a determinare l'adesione acritica a provvedimenti demenziali, quale l'autorizzazione a usare petrolio in centrali a gas, oppure a decisioni futuribili senza futuro come la scelta di ripensare al nucleare (oltre alla menzionata scarsità dell'uranio, rammentiamo di passaggio che non siamo in grado neppure di reperire un sito per le scorie, figuriamoci per le centrali), e al carbone, di cui non vale la pena neppure parlare.
La vera ragione dell'allarme, però, é evidentemente quella di favorire decisioni commissariali per la realizzazione di numerosi impianti di rigassificazione.
La scelta di affidarsi al GNL (Gas Naturale Liquefatto), cioé il metano trasportato in forma liquida con le navi invece che con i metanodotti, é sotto accusa da tempo nel Regno Unito per il motivo esattamente opposto alla ragione per la quale in Italia si spinge con tanta forza in questa direzione: l'assoluta inaffidabilità delle forniture che si manifesta nei periodi di volatilità dei prezzi, a causa non della lite Russo-Ucraina ma dell'ingordigia del mercato Statunitense che si accaparra le navi a spasso per il mondo a suon di rialzi non rifiutabili. Come al solito la realtà raccontata al nostro Paese dai diretti interessati al business dei rigassificatori é che lo si deve fare nel nome del Paese e magari con i soldi del Paese, ma così non è!
Baloccarsi su prospettive irrealistiche, che prescindono dalla debolezza strutturale della nostra economia e dalla incapacità di reggere il confronto internazionale sul piano finanziario, colpisce al cuore la già traballante fiducia nel futuro dei nostri concittadini.
Che fare allora? Sosteniamo che occorre certamente affidarsi in via temporanea al gas naturale, ma basando il nostro impegno sulle reti dei metanodotti, una risorsa solida e sicura, e proseguendone la giusta diversificazione nelle fonti dato che almeno su questo aspetto la nostra posizione geografica ci consente come nessun altro di poter agevolmente contare su scenari diversi.
Parallelamente, e con la massima decisione, dobbiamo far decollare l'energia rinnovabile, le cui risorse sono abbondanti sia in Toscana sia, in generale, sul territorio nazionale (detto da alcuni amanti del fotovoltaico "il Paese del sole").
In Toscana abbiamo un'altra bella fortuna, quella di possedere abbondanti risorse geotermiche, che già oggi forniscono quasi il 30% della nostra energia elettrica e le cui risorse devono essere impiegate per far decollare definitivamente le altre fonti rinnovabili e un grande distretto industriale e dei servizi ad esse legate.
Abbiamo tanto sole, basterebbe coprire con pannelli fotovoltaici solo una parte dei tetti degli edifici esistenti per avere molta più energia di quanta ne utilizziamo adesso; il nostro Meridione d'Italia potrebbe diventare una grande centrale elettrica pulita, offrendo ad esso finalmente un ruolo definitivo e decisivo per le sorti del Paese.
Abbiamo vento sulla costa e sugli Appennini, non tanto da poter essere sufficiente da solo, ma utile per fornire energia a basso costo.
Abbiamo le conoscenze e le tecnologie per recuperare efficacemente moltissima energia dai rifiuti, senza incenerirli e quindi senza inquinare.
Disponiamo, infine, delle conoscenze e delle tecnologie per risparmiare almeno il 15% dell'energia complessiva impiegata in Italia senza patirne alcun disagio.
La nostra eccellente capacità di produrre energia elettrica dalle fonti rinnovabili può essere vantaggiosamente accoppiata, inoltre, al trasporto elettrico su strada e su rotaia, cosa che ci potrebbe rendere indipendenti dalle importazioni di petrolio e di altri fossili in tempi ragionevoli, oltre che risparmiare la nostra salute.

Ovviamente, potenziare l'energia rinnovabile non si può fare gratis. Bisogna investirci sopra, e si tratta di investimenti cospicui, non cosmetici. Non che ci manchino le risorse da investire, ma la necessità critica di investirle nelle rinnovabili non é stata ancora capita né dalla maggioranza dell'opinione pubblica né dalla maggioranza degli Amministratori.
Occorre un programma straordinario, che concentri la maggior parte delle risorse sullo sviluppo dell'autosufficienza energetica rinnovabile, dirottandole anche dalle grandi opere inutili, dannose, dilapidatrici del patrimonio pubblico, come il Ponte sullo Stretto, la TAV Torino-Lione, il MOSE di Venezia, e tante altre; occorre bloccare da subito il finanziamento delle fonti energetiche non rinnovabili, che ai correnti prezzi di mercato sono molto redditizie anche senza incentivazioni.
La situazione, per quanto difficile, non é senza speranza. Se facciamo le scelte giuste, se il freddo allenterà la sua morsa sulla Russia, se non subiremo interruzioni nelle forniture per un paio d'anni (una settimana di interruzione sarebbe già catastrofica!) possiamo uscirne fuori rafforzando la nostra economia e vivendo in un mondo migliore. Ma dobbiamo farle ora. Se aspettiamo più di qualche mese, sarà troppo tardi.

*membro AspoItalia, consigliere Regionale dei Verdi e Presidente della Commissione Sanità della Regione Toscana.

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