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Rientrodolce, popolazione e mitigazione

di Guido Ferretti

RientroDolce ha rappresentato, sin dalla sua fondazione, il 20 febbraio 2005, un "segno di contraddizione" tra i radicali, per la novità della sua visione geo-ambientalista. In realtà la novità non era la visione, ma la situazione, che peraltro non tutti potevano conoscere, in presenza di forze che tendevano a nasconderla. In un conflitto violentissimo tra "cornucopians" e "doomsayers", Rientrodolce si schierò tra i "doomsayers" e gli attributi più benevoli che ricevette furono "catastrofista" e "millanarista".

Nata tra i radicali, da una "inezia" di Marco Pannella, che esprimeva la necessità di un rientro dolce dell'umanità a due miliardi di persone, dagli sviluppi di una mozione particolare approvata a Tirana dal 38° congresso del NRPTT il 4/11/2011 e da gruppi di discussione sul Forum radicale animati da Fabrizio Argonauta, l'associazione ebbe l'immediato appoggio di Luigi De Marchi, che da decenni, nei suoi mattutini interventi su Radio Radicale, indicava nella "bomba della popolazione" la "madre di tutte le tragedie contemporanei".

Le radici culturali immediate si fondavano sui movimenti ambientalisti nati con la rivoluzione del '68 e sui possibili scenari che emergevano dalle prime applicazioni, consentite dall'introduzione della tecnologia dei calcolatori elettronici, della scienza dei sistemi complessi. Rientrodolce si ricollega ad Aurelio Peccei, con la ricerca commissionata dal Club di Roma e pubblicata, per la prima volta, nel 1972, sul libro "Limits to growth" di Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers e William Behrens, libro che fu fortemente condiviso dai radicali, fino a che il mondo, dopo la caduta del muro di Berlino, parve indirizzato a un progresso economico senza fine, i temi economici, nella loro variante neo-liberista, presero il sopravvento e l'allarme sull'ambiente fu disinnescato (soprattutto con la pubblicazione del libro di Lomborg "L'Ambientalista Scettico", 2001).

Tali origini culturali sono state recentemente richiamata da Sergio D'Elia, socio di Rientrodolce, all'ultima sessione del Comitato Nazionale di R.I. e, anche in considerazione che era la prima volta che un esponente di primo piano dei radicali, dopo anni di oblio, "risuscitava" Aurelio Peccei per invitare ad una riflessione sul sistema economico in atto e sulla necessità di governare una decrescita, ha suscitato scalpore ed è stato richiamato da Alessandro Litta Modignani in un recente intervento su Notizie Radicali. Nello stesso comitato è stata approvata anche una mozione particolare in senso animalista, in contrasto con alcune posizioni sulla libertà di ricerca scientifica assunte dalla Luca Coscioni, contribuendo a indurre Litta Modignani a chiedersi se " i Radicali hanno qualche problema di cultura politica".

L'articolo di Litta Modignani fornisce alcuni spunti utili per un chiarimento delle posizioni di Rietrodolce, molto spesso fraintese, forse anche per una carenza di informazione. Ciò è reso più facile da un cambio di atmosfera, intervenuto a seguito della crisi economica, dell'aumento ormai stabilizzato dei prezzi del petrolio e del consenso ormai abbastanza generale sull'esistenza del riscaldamento globale di origine antropica.

Un primo chiarimento è dovuto sui due diversi piani di analisi e di proposta di Rientrodolce,  nettamente distinti tra una visione globale di lunghissimo termine ed una più contingente di medio-lungo periodo, in quanto una confusione tra tali piani non può che generare fraintendimenti.

Il nome stesso dell'associazione, composto di due parole, può aiutare a comprendere le due prospettive: la prima parola, "rientro", tende ad indicare un obiettivo finale, una visione a lunghissimo termine, che copre un orizzonte che si estende, probabilmente, al di là del secolo appena iniziato. La seconda parola, "dolce", vuole indicare un mezzo, una strada verso tale obiettivo, e, come tale, copre strategie più immediate, di possibile individuazione nel presente, con un orizzonte nell'ordine di anni o di lustri. La parola "dolce" indica anche una modalità che caratterizza l'intero movimento radicale, cioè quella della nonviolenza e si affianca, sul piano programmatico, alla parola "mitigazione", riferita alle conseguenze, ormai irrimediabili e solo mitigabili, del ritardo di un intervento che avrebbe dovuto essere effettuato sin dagli anni '70, quando furono lanciati i primi forti allarmi (da Peccei sul piano della sostenibilità e da Ehrlicht - The Population Bomb 1968- sul piano demografico).

Ovviamente la visione di fondo, relativa alla riduzione della popolazione e al rientro nei limiti della sostenibilità ecologica, è parte dell'identità dell'associazione, mentre i mezzi sono certamente negoziabili e costituiscono contributi di idee alle politiche di mitigazione che ancora possono essere intraprese per rendere meno drammatico l'ineluttabile un rientro imposto dal libero esplicarsi delle forze della natura, evitando quello che, se non governato, sarebbe un collasso improvviso e catastrofico.

La questione demografica riveste, per sua essenza, un carattere a lunghissimo termine, poichè si tratta di riconoscere che l'aumento della popolazione è un problema ambientale, non soltanto di libertà riproduttiva ma di sostenibilità (nella sua forma attuale) della vita sul pianeta, includendovi non solo la specie homo sapiens sapiens, ma l'intero bioma terrestre. Rientrodolce individua in un eccesso di "moltiplicazione" dell'uomo la causa scatenante (insieme ad una economia spontaneamente -e teoricamente- orientata, da millenni, all'aumento dei beni prodotti e dei rifiuti conseguenti e portata all'estremo, negli ultimi 200 anni, grazie alla disponibilità di energia di fonte fossile di facile estraibilità) di quello che viene indicato come "overshoot", cioè superamento dei limiti di sostenibilità del pianeta.

Tale superamento si manifesta nel progressivo esaurimento delle risorse minerali "facili" (tra cui i combustibili fossili), nel riscaldamento globale, nella perdita, descritta come sesta grande estinzione (la quinta, alla fine del cretaceo, comportò l'estinzione del 76% delle specie), di biodiversità animale e vegetale, nell'impoverimento delle falde acquifere, nella perdita di terreni agricoli, nella fame di miliardi di persone, mai sconfitta, nonostante inutili conferenze e vacui "development goals". A questo proposito, è all'ordine del giorno nella comunità scientifica la proposta di individuare nella fine dell'ultima glaciazione, con l'inizio dell'agricoltura e dell'estinzione di massa in corso, la data di inizio di una nuova era geologica, per cui si propone il nome di "antropocene".

A fronte di questa analisi, è possibile chiedersi quale potrebbe essere il numero di umani compatibile con un prolungamento dell'attuale equibrio ecologico, di cui l'uomo è parte. La risposta qualitativa di RD, in accordo con l'iniziale intuizione di Marco Pannella, si situa nell'intorno di due miliardi di persone e si giustifica con l'analisi di alcuni indici di sostenibilità recentemente creati e sulla considerazione che tale numero potrebbe essere compatibile con una giusta aspirazione dell'uomo a continuare, pur  ritirandosi da ampi spazi del pianeta, un processo di (vero) progresso, che consenta la salvaguardia e un ulteriore sviluppo del livello di civiltà, culturale, sociale, tecnologico raggiunto e anche il mantenimento, senza eccessi consumistici ma più uniformemente diffuso, di un benessere reale paragonabile all'attuale.

E' necessario sottolineare il valore simbolico di tale cifra e mettere in evidenza che nessuna indicazione viene data da Rientrodolce sui tempi in cui sarà possibile raggiungere questo stato di equilibro e armonia con la natura, in quanto ciò dipende da quanto tempo impiegheranno gli umani a divenire consapevoli che una sopravvivenza non residuale della specie è strettamente legata a quella delle altre specie e a riconoscere che le risorse minerali, atmosferiche, agricole e marine sono limitate e devono essere trasmesse alle future generazioni. Dipende inoltre dai tempi e dall'imponenza degli sforzi che saranno dedicati a ridurre l'impatto umano sul pianeta, prima che si verifichi il temuto cambio irreversibile di stato conseguente al riscaldamento globale e alla riduzione delle risorse naturali non rinnovabili. La diffusione della consapevolezza costituisce, nel breve termine, il principale obiettivo politico e culturale di Rientrodolce.

Certamente, considerando che esiste un'inerzia demografica che, nelle condizioni migliori (attualmente non ipotizzabili), già fissa in 8,5 miliardi la popolazione che non potrà non essere raggiunta (tranne disastri planetari a breve), è fuori da ogni prospettiva immaginare la possibilità di raggiungere in due generazioni, la popolazione massima indicata. Quando, mistificando, si attribuisce a RD una tale intenzione si esprime in realtà un "fastidio" di fondo per l'obiettivo stesso, fastidio probabilmente giustificato dall'insistenza e dall'urgenza poste da RD nel richiedere che si intraprenda "subito" una politica di mitigazione delle conseguenze catastrofiche che un non-intervento" abbandonerebbe al caso.

Si chiede spesso a Rientrodolce a che titolo si arroga il diritto di "imporre" i "propri" obiettivi anche a chi non è interessato. La risposta non può che essere che, evidentemente, non si tratta nè di obiettivi propri nè di imposizione alcuna: si tratta di un compito che può essere assunto soltanto dall'intero genere umano, in difesa della propria sopravvivenza. Quanto ai mezzi, Rientrodolce propone il metodo più radicale e definitivo possibile, che è quello della nonviolenza. Appare dunque falso e offensivo, probabilmente ispirato dal "fastidio" in difesa di altri interessi e altri valori, ogni richiamo o anche solo ogni accenno a strumenti violenti e non volontari che sarebbero contemplati da Rientrodolce o intrinsecamente inevitabili. Questi mezzi sarebbero insufficienti, inadeguati e di troppo breve durata, rispetto alla gravità della situazione percepita da Rietrodolce.

Rientrodolce indica in uno sforzo solidale e unitario dell'intera umanità lo strumento necessario e indica, tra i possibili mezzi - a parte l'ONU, i trattati bilaterali e le conferenze internazionali, finora inutili - la "bomba mediatica" e l'uso del metodo Sabido, che, a sua volta, può promuovere una reazione a catena, in un feedback positivo, di altre forze, laiche e religiose, statuali e private, locali e globali, convergenti tutte su obiettivi come l'affermazione della libertà sessuale e della responsabilità riproduttiva, estesa all'intera specie, l'affermazione del diritto alla pianificazione familiare e alla salute sessuale e riproduttiva, la diffusione e l'uso dei moderni metodi di contraccezione. Rientrodolce non ritiene di poter essere l'unico propositore di una politica di mitigazione, ritiene anzi di essere insufficente e inadeguato al compito e che sia dovere di tutti proporre iniziative.

Nell'ambito dell'obbiettivo demografico, RD riconosce che la responsabilità maggiore dell'esaurimento in corso delle risorse planetarie è attribuibile alle società che, facendone il maggiore uso, hanno raggiunto livelli di benessere che mettono a rischio la sopravvivenza della specie o di gran parte di essa. Al contempo, riconosce anche che non è possibile rimediare al danno avvenuto senza il coivolgimento di tutti, anche dei meno responsabili.

Tale unità di intenti da parte di tutte le nazioni non sarà raggiungibile senza un piano di fattiva solidarietà internazionale. Se l'iniziativa del contenimento demografico partisse, come avviene, dalle nazioni più ricche, allora soltanto una reale coerenza potrà dissipare le diffidenze di paesi che, passati dal colonialismo politico a quello economico, potrebbero avere buoni motivi per rifiutare di credere alla buona fede dei proponenti e per ritenere che, dopo essere stati tenuti in povertà mentre le risorse dei loro territori venivano trasferite ai paesi ricchi, ora, per sovrappiù, si imponga loro anche di non riprodursi, cioè di "sparire" e così, finalmente, "togliere il disturbo".

E' quindi necessario, come già i radicali sostenevano durante la lotta "contro la morte per fame e malattia", che vide anche la simpatia di Giovanni Paolo II, non solo che si riduca, fino al raggiungimento di un nuovo equilibrio, lo stile di vita medio degli umani, economizzando sulle risorse rimaste e sui rifiuti emessi, ma anche che la riduzione sia proporzionalmente maggiore presso le società più tecnicamente e socialmente più evolute, attraverso un trasferimento di mezzi di sviluppo alle società che ne sono finora state escluse. Solo in questo modo, raggiunta una fiducia reciproca, l'umanità nel suo insieme potrà unirsi e anche i popoli che attualmente ancora hanno tassi di fertilità eccessivi, daranno spontaneamente il loro fondamentale apporto allo sforzo comune.

Questa solidarietà riguarda anche l'immigrazione. Rientrodolce è contrario, in linea di principio, a movimenti di massa che sradicano le persone dalla loro terra e dai loro rapporti sociali e creano difficoltà nelle società destinatarie (legate all'integrazione, alla criminalità e ai costi sociali), ma non può non prendere atto che l'ineguale ripartizione delle risorse generata dal commercio internazionale rende fisiologico il trasferimento delle persone dai luoghi ove ve ne sono meno a quelli ove ve ne sono di più. Il rimedio a questa situazione, come già indicava Pannella durante la menzionata "battaglia contro la morte per fame e malattia", è quello di equilibrare la distribuzione delle risorse e non certamente quello di una inane lotta per la difesa delle frontiere.

Anche il resto del bioma planetario dovrà essere coinvolto in questo sforzo di salvezza comune, poiché l'uomo si è evoluto insieme e in equilibrio con il resto dell'ambiente. Sarà quindi necessario cambiare l'atteggiamento antropocentrico che ci ha condotto a tale situazione, riconoscendo la comune origine, rispettando la vita, riducendo drasticamente la quantità di animali utilizzati al servizio dell'uomo (che, anch'essi, contribuiscono alla distruzione dell'ambiente) e rinunciando ad ulteriori espansioni territoriali (anzi riducendo quelle raggiunte) degli umani sul pianeta.

Una forma di vegetarianismo che preveda una drastica diminuzione del consumo di alimenti di origine animale dovrà certamente far parte delle politiche di mitigazione dirette ad assicurare il cibo a tutta l'umanità e un graduale recupero dell'ambiente, fino a che la sua numerosità non si sarà ridotta. Tutto ciò anche evitando di menzionare, non essendone questa la sede appropriata, l'attrattiva etica di una riduzione della violenza nell'intera ecosfera, in particolare quella verso gli animali, come già auspicato nei secoli da molti pensatori, da Leonardo a Gandhi, e, in ambito radicale, da Adele Faccio.

Come sempre, dopo aver individuato una direzione di fondo, diviene necessario, come ricorda il detto "ragiona globalmente e agisci localmente", trarne le conseguenze sulla politica a breve-lungo termine (da giorni ad anni), sia nel proprio territorio che nelle sedi internazionali. Ed è qui che nascono i maggiori dissensi, poiché vengono messi in discussione anche tutti i principi e le convinzioni teoretiche che sono stati alla base della politica condotta fino al giorno prima e si toccano interessi e poteri economici e morali dominanti, quelli stessi che, in  precedenza, hanno favorito il successo delle teorie economiche e morali divenute "mainstream".

La lotta, a questo punto, risale fino al piano dell'analisi, della quale si rigettano o diluiscono le conclusioni scientifiche, quando implicano una rinuncia alla coerenza con il pensiero e l'azione fino allora sostenuti. E' recente, per esempio, il "pentimento", pur apprezzabile, di Lomborg per le sue posizioni circa il riscaldamento globale di origine antropica, ma ancora sono molte le influenze esercitate sugli ambienti di cultura scientifica ed economica, da parte di società multinazioni e stati, per negarlo e, in ogni caso, per ignorarlo. Basti citare, per esempio, in Italia, l'opposizione al trattato di Kyoto da parte dell'Istituto Bruno Leoni o il favore, a lungo mantenuto dai radicali, per l'utilizzo di carbone, nella vana speranza che l'ambientalismo antropocentrico "liberale" potesse ancora avere una qualche validità, oppure in Danimarca, in occasione della Conferenza sui Cambiamenti Climatici del dicembre 2009, oppure infine, relativamente a popolazione e "sviluppo sostenibile", nell'ultimo e inconcludente "Summit della Terra" di Rio.

Quando, ad esempio, dopo la domanda sul diritto di imporre qualcosa agli altri, si pone la domanda "chi stabilisce quale sia il livello accettabile dei consumi", traspare che si intende affermare che "solo il mercato" può indirizzare "liberamente" i comportamenti economici umani. Dunque si esprime una resistenza alla revisione delle teorie economiche fino allora sostenute, con un orgoglio malposto, con un timore di incoerenza politica e di perdita di immagine (e voti) che invece è la vera incoerenza. Da questi timori riciclano poi le obiezioni sull'analisi della situazione demografica e ambientale del pianeta.

La stessa origine ha la domanda "la crescita dei servizi è crescita o no?", che, trasparentemente, viene posta per salvare i concetti di crescita economica e di prodotto interno lordo, che sono presupposti della libertà di mercato, indubbiamente e intrinsecamente vocato alla crescita. Con la crescita dei servizi, ogni servizio rientrerebbe nella mercificazione generale, il progresso continuerebbe ad essere basato sulla concorrenza, la moneta continuerebbe ad essere basata sul debito, il denaro continuerebbe ad esser strumento di produzione di denaro, il debito continuerebbe ad essere strumento di sviluppo e pagabile con la crescita, la "crescita sostenibile" continuerebbe a non essere un ossimoro e a servire da foglia di fico, gli uomini, infine, continuerebbero ad essere "homines oeconomici".

Allo stesso modo, la domanda se l'economia dei "paesi occidentali" potrebbe rinunciare a produrre beni materiali, esprime con un'iperbole una sottostante volontà di mantenere lo status quo, non determinata dalla realtà fattuale ma dal timore di dover rinunciare al proprio bagaglio culturale, di dover immaginare ex novo un'economia senza crescita materiale, di dover sottoporre la libertà di mercato ai limiti imposti dall'ambiente, a regole fissate da "qualcuno" e non dalle forze impersonali del mercato.
 
Spesso, in uno sforzo di etichettatura, si presenta Rientrodolce come una "sottospecie" di altre teorie, come quelle che pongono l'accento sull'efficienza energetica. Non è così: si tratta di sforzi troppo costosi per piccoli risultati energetici, soprattutto in presenza delle possibilità offerte dalle energie di fonte rinnovabile. In realtà si tratta di un rilancio dell'ambientalismo antropocentrico. RD ritiene tali teorie un costoso tentivo di rinnovare e ricapitalizzare l'esistente, sostanzialmente affermando che "tutto può continuare come prima, basta investire in 'ferro e cemento' (e stare un po' più attenti)", infatti esse raccolgono facili consensi, anche tra i radicali e le associazioni ambientaliste cui questi fanno riferimento, e sono fortemente promosse dall'establishment, in un tentativo di "salvare il salvabile", affinché tutto cambi per restare come prima. 

E' comprensibile e condivisibile lo sgomento che ci coglie tutti, di fronte al territorio sconosciuto che ci si apre davanti, sgomento ben espresso dalla domanda conclusiva posta da Litta Modignani nell'articolo citato: "qual'è la linea economica dei radicali?". Questa domanda concentra il campo di discussione alla sola economia e riassume tutte le perplessità in una sola: non è possibile accettare le tesi di Rientrodolce senza mettere in crisi l'intera linea economica finora perseguita dai radicali e quindi la loro identità pubblica. Dunque ne vanno negati i presupposti ed esse devono essere almeno ostacolate ed annacquate, secondo il principio ambiental-antropocentrico di "salvare capra e cavoli". In realtà, la linea economica dei radicali non è mai esistita, essa si forma in modo labile secondo le circostanze e si modifica con "i tempi": non può essere artatamente condizionata, con tutto il rispetto che meritano, da nessun "Einaudi" o "Ernesto Rossi", che non potevano certo immaginare scenari inimmaginabili al loro tempo.

In questa temperie, è necessario risalire ai principi che avevano ispirato anche tali pensatori, per ritrovare, in ambito radicale, fondamenta più profonde, solide e durature su cui costruire il nuovo. Tali fondamenta esistono e possono essere individuate o riscoperte nell'amore per i diritti umani, per la libertà e responsabilità individuale, per la legge, per il diritto, per la giustizia, anche sociale, per la democrazia, per la transnazionalità e l'umanità nel suo complesso, per la nonviolenza, per la laicità, per la conoscenza, per tutta l'ecosfera, di cui ci riconosciamo parte e non dominatori, per la difesa dei deboli e degli emarginati. Basta continuare ad essere sé stessi.

SECONDA VERSIONE DELL'ARTICOLO

Dopo una discussione all'interno del gruppo di discussione di Rientrodolce, Guido Ferretti ha apportato delle modifiche all'articolo e l'ha inviato a "Notizie Radicali", che lo ha pubblicato al seguente indirizzo:

http://notizie.radicali.it/articolo/2012-09-11/editoriale/rientrodolce-popolazione-e-mitigazione

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