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"Ultima trincea" di Angiolo Bandinelli Stampa E-mail

Ultima trincea

La paura irrazionale del meticciato in un occidente che si sente alla fine perché assediato dall'islam.

• da Il Foglio del 23 marzo 2006, pag. 2

di Angiolo Bandinelli


Tira un’aria da Fort Alamo, da ultima trincea. Sembra giunta l’ora in cui gli ultimi, eroici difensori della fortezza assediata, timorosi di non farcela e di veder cadere le loro donne in mano agli aggressori, le passano a fil di spada prima di uccidersi loro stessi. La fortezza assediata è, pare, l’Occidente, già si paventa una sua analoga, prossima fine. Nel film di Howard Hawks “Il fiume rosso” c’è uno “stampede” di vacche che fuggono all’impazzata, in preda al panico. Siamo anche noi ridotti così? E’ incomprensibile che l’Occidente sia preda di questa paura, l’infantile (o psichiatrica) paura della perdita di identità. Ci auguriamo sia tutta una teorizzazione da intellettuali, proseguimento di una vecchia geremiade tra nietzchiana, spengleriana e heideggeriana. E’ una paura perfino tutta estetica, di chi teme di perdere le proprie fattezze, che ha scambiato per la propria identità. Sono timori e comportamenti poco laici. Davvero vogliamo che il mondo si globalizzi? A parole, ogni liberale dice di sì, entusiasta. Però, quando si va al concreto, ci accorgiamo che l’assenso è subdolo, assai poco liberale. Sì, il plauso è unanime sul fatto che si debba lasciare campo libero alla Coca Cola o ai fast food (si fa per dire, ovviamente) di installarsi a Mosca o al Cairo; di colpo le barriere si elevano, invece, quando si teme che la globalizzazione possa significare l’affacciarsi sulla nostra soglia di un costume, un’usanza, una caratteristica proveniente dall’esterno. Leggo sul più diffuso giornale romano un articolo che tratta di una faccenda importante ma non certo epocale, cioè come gestire l’ingresso di bambini islamici nelle nostre scuole con la possibile conseguenza di dover introdurre l’insegnamento del Corano accanto a quello dei Vangeli. L’articolo ha come titolo:“Aprirsi agli altri, ma senza perdere identità”. Con questi picchetti, che può significare, “aprirsi”? Qui la globalizzazione è intesa a senso unico. Invece, la globalizzazione comporta la necessità, il rischio, ma forse anche la curiosità, il piacere, la sfida - positiva - di meticciarsi. Il mondo globalizzato si sta comunque meticciando, ne siamo ogni giorno spettatori. Le tribù africane scompaiono sotto la spinta del mercato unico ma al loro posto nascono le tribù metropolitane delle grandi città avanzate, con le loro mille usanze, i loro “idioletti” antropologici. I brasiliani sono il prodotto del meticciato tra le etnie bianca, india e negra, e i risultati non sono affatto disprezzabili. E prendete gli adolescenti di oggi: nel loro abbigliamento, nelle loro acconciature si rivela l’influsso eterogeneo di culture meticciate: dal taglio dei capelli, al piercing, ai tatuaggi, all’uso di sostanze variamente allucinogene con effetti da fungo messicano o sciamanico: usanze che i nostri nonni, quando le incontravano presso le tribù africane, definivano barbare e sbandieravano a giustificare il loro colonialismo. Ma, a gran voce, veniamo tacitati: quel che è a inaccettabile - ci gridano - non è un tatuaggio, ma innanzitutto l’islam; l’islam, minaccia per il cristianesimo e la democrazia. Osservatene le caratteristiche, le ambizioni: è impossibile che possa riformarsi, evolversi, integrarsi sui canoni dell’Occidente. Qui, per renderci un po’ cauti nel giudizio, basta ricordare che il cristianesimo è arrivato in Europa come il più formidabile esempio di meticciato della storia. Una credenza tipicamente semitica, quella del dio unico, venne a sostituire quella più caratteristica e tipica degli indoeuropei, il politeismo, perfettamente conservatosi - fateci caso - nell’induismo. Inizialmente l’esotica credenza venne duramente combattuta. Per farsi accettare dall’Occidente (che era, allora, l’ellenismo più il diritto romano) le occorsero secoli, parecchi secoli di diatribe, polemiche, scontri e martiri, e solo alla fine si arrivò al dialogo aperto e costruttivo. Questo meticciamento fu il merito della gloriosa Patristica, culminata nel sincretistico capolavoro di S. Agostino. Allora, non furono trovate scorciatoie. Non ci sono nemmeno oggi. I laici, credenti e non credenti, dovrebbero esserne consapevoli

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