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Dal blog di Rientrodolce

Prima che il pianeta diventi un grande carcere, il Rientrodolce

di Stefano Bilotti

piranesi

Le battaglie radicali, battaglie nobili e giuste come quella sulle carceri, sulla trasparenza, sulla legalità,  trovano, in questi ultimi anni, una resistenza senza precedenti.

Eppure siamo nell’era della comunicazione, dell’empatia della rete, come la definisce Rifkin.

Le motivazioni di questa difficoltà sono a mio avviso da cercarsi nei prodromi della più grande crisi energetica e di risorse che l’umanità abbia mai affrontato.

Tutti gli indicatori ci dicono che siamo vicinissimi  a  una serie di punti critici  per l’umanità globale, alcuni potremmo già averli superati e ne stiamo sperimentando i primi effetti senza riuscire a collegare l’effetto alla causa reale.

Il picco del petrolio,  delle terre rare, il consumo di suolo, la scomparsa progressiva della biodiversità, l’inserimento di inquinanti  ad effetto sempre più durevole e devastante nell’ambiente, sono tutti fenomeni contestuali ad una umanità in progressivo aumento sia come popolazione che come consumi pro-capite e all’interno di  in uno scenario in cui ciò che è usato non viene riciclato ma  incenerito. Tutto ciò sta riducendo il pianeta in un grande carcere da cui non si potrà mai più evadere, perché se nei secoli passati distrutto o saccheggiato un ambiente c’era la possibilità di migrare o colonizzarne un altro, oggi andare a vivere su Marte o su altri pianeti pare non sia ancora fattibile e soprattutto il nuovo pianeta avrebbe caratteristiche peggiori di quelle di un carcere.

E così si arriva al picco della salute e in generale a un picco di quanto prodotto nel bene e nel male dall’umanità, probabilmente anche dalla ricerca, se non cambieremo pesi e priorità in quel meccanismo deforme che è divenuto ormai  la crescita intesa con gli attuali indicatori del PIL.

Quando il suolo per coltivare buoni prodotti non basterà per tutti, quando tre quarti degli insediamenti urbani avranno aria cattiva, quando la crisi avrà levato la possibilità di cure costose, quando torneranno gli scontri tra poveri, le condizioni degli ultimi, ovvero dei carcerati, potranno solo peggiorare.

Il Paradosso di una economia al petrolio che può solo diminuire in quanto risorsa finita e che mette al suo centro la crescita all’infinito non potrà durare a lungo.

Il problema è lo spazio di frenata, ovvero quanto prima si debba frenare per evitare di schiantarsi contro un muro.

Ecco perché poi mafia e corruzione sono gemelli dell’insensato consumo di suolo e del cemento selvaggio, le crisi economiche cancellano dalle agende tutto quanto riguarda i diritti civili e la tutela degli ecosistemi, mentre invece dovrebbero fare il contrario.

Così lo scenario futuro diventa di povertà e di sopraffazione, di gente che respira aria cattiva, vive con poca energia, mangia cibo cattivo e beve acqua con inquinanti a meno di pagare cara acqua migliore.

Uno scenario dove l’aspettativa di vita sana cala, dove piuttosto che migliorare il carcere, si rende l’esterno sempre più simile, sia per qualità di vita che per il diritto.

Per questo è necessario, è prioritario, è improcrastinabile il rientro dolce di una umanità lanciata contro un muro ad altissima velocità, rientro di popolazione, di consumi spreconi e il cambio di paradigma del meccanismo della crescita. E’ necessario parlare di crescita della qualità dell’aria, di crescita della disponibilità di suolo pro-capite, della qualità dell’acqua, della biodiversità, della percentuale di fonti rinnovabili nel paniere energetico mondiale.

Forse anche cominciando adesso, l’urto ci sarebbe già e possiamo solo sperare di ridurre l’impatto.

Al lavoro, quindi, prima che il grande carcere sia costruito con tutti noi dentro.

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