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"La fede fanatica smuove le montagne" di Luigi De Marchi Stampa E-mail

Da www.luigidemarchi.it

Venerdì, agosto 04, 2006

La fede fanatica smuove le montagne

Satu Hassi, già Ministro finlandese dell’Ambiente, ha pubblicato di recente sul Notiziario della Commissione Ambientale Europea un articolo intitolato “Il pianeta assetato” ove fornisce vari dati angoscianti sulla rapida riduzione dei ghiacciai a causa dell’effetto serra e sul colpo devastante che tale riduzione è destinata ad infliggere all’ecosistema mondiale e alla già disperata condizione di miliardi di esseri umani.
“Metà della popolazione del pianeta – ricorda Satu Hassi – attinge le sue risorse d’acqua dolce a fiumi che hanno le proprie sorgenti nei ghiacciai. I ghiacciai himalayani, ad esempio, alimentano 7 grandi fiumi asiatici (il Gange, l’Hindu, il Brahmaputra, il Salween, il Mekong, lo Yang Tze e l’Huang He – che assicurano il fabbisogno d’acqua dolce ad oltre due miliardi di asiatici. Ma i ghiacciai himalayani stanno riducendosi rapidamente: secondo l’Accademia Cinese delle Scienze, ad un ritmo del 7% l’anno, che li dimezzerà entro cinquant’anni. E anche nell’area andina del Sud America l’acqua dei ghiacciai contribuisce più dell’acqua piovana alla portata dei fiumi. Bloccare l’effetto serra riducendo subito le emissioni di anidride carbonica è dunque una pre-condizione essenziale per impedire che interi paesi e continenti sprofondino nella sete… e nella fame, dato che la disponibilità d’acqua condiziona l’intera produzione alimentare. Infatti, mentre per dissetare ciascuno di noi bastano e avanzano 4 litri d’acqua al giorno, per produrre il cibo che ciascuno di noi consuma ne occorrono 2.000 (dicesi duemila) litri. E la stessa “rivoluzione verde” (tanto celebrata dai cantori della “magnifiche sorti e progressive”) che ha consentito di triplicare la produzione cerealicola nella seconda meta del ‘900 è stata possibile solo per un fortissimo aumento delle irrigazioni. Anche le falde acquifere sotterranee vengono sfruttate ad un ritmo molto più rapido di quello con cui si formano e vanno calando vertiginosamente in regioni ove risiede oltre la metà della popolazione umana”.

Fin qui il memento di Satu Hassi, le cui implicazioni vanno ben oltre il già catastrofico problema dell’alimentazione. Già tre anni fa, in uno di questi miei interventi segnalavo un rapporto della CIA che avvertiva il rischio incombente di nuove sanguinose guerre per l’acqua in dieci regioni del pianeta ove i fiumi bagnano più di una nazione e dove, quindi, la nazione a monte può inquinare o imbrigliare (con dighe e altri sbarramenti) l’acqua che defluisce nella nazione a valle. E poiché questi fiumi “multinazionali” sono oggi più di 260, è evidente che limitare a 10 le regioni destinate a guerreggiare per l’acqua nel prossimo futuro è un calcolo ancora molto ottimista. E la previsione della CIA non può di certo essere scartato per la sua provenienza sospetta. Ancor prima della sua pubblicazione, nel 2003, un rapporto congiunto delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale formulava una profezia altrettanto sinistra: “Il problema idrico è già oggi molto serio, ma diverrà esplosiva tra 10 anni e ingestibile tra 20. Il ‘900 è stato il secolo delle guerr e per il petrolio. Il XXI sarà il secolo delle guerre per l’acqua”.
Anche il benemerito articolo di Satu Hassi, come tutta l’immensa pubblicistica degli ecologisti, sottace e rimuove accuratamente, però, le cause profonde della tragedia dell’acqua che, come e più di sempre, sono cause demografiche. E lo sono sia direttamente che indirettamente, non solo perché il fortissimo aumento della popolazione (quadruplicata, nel Terzo Mondo, durante il secolo scorso) ha creato un enorme aumento del fabbisogno, ma anche perché la pressione demografica ha prodotto una forte deforestazione che, a sua volta, ha inaridito intere regioni.

Il dramma dell’acqua, tuttavia, ha una forte carica demistificatoria. Esso, infatti, è la prova migliore della priorità della questione della sovrappopolazione e dell’inconsistenza dei mille alibi adottati fino ad oggi dalla demagogia religiosa e politica per negare tale priorità. Vediamo perché. Anzitutto, le solite geremiadi sulle colpe dell’Occidente capitalista nel caso dell’acqua sono semplicemente comiche. Così, le invettive dei demagoghi del sinistrese contro l’Occidente industrializzato colpevole d’ogni sventura umana sono inapplicabili al dramma dell’acqua e della sete, caratterizzato da due fatti rocciosi e incontrovertibili: il primo è che l’agricoltura, prevalente nel Terzo Mondo, consuma quasi tre quarti delle risorse idriche mondiali, mentre l’industria, prevalente in Occidente ne consuma solo un quinto e l’uso domestico (tanto imputato a noi occidentali) solo un decimo. Inoltre, a differenza del petrolio o del gas o dei minerali rari, l’acqua non è una risorsa trasferibile cosicché, anche se i nostri sprechi cessassero domani, gli assetati d’Africa o Medio Oriente non ne trarrebbero alcun vantaggio.

Insomma, a differenza di altri problemi contemporanei, la tragedia dell’acqua e della sete è indiscutibilmente prodotta in larga misura dall’esplosione demografica, che nel giro di vent’anni ha più che dimezzato (da 17 mila a 7 mila metri cubi) la quantità d’acqua pro-capite del genere umano e che sta alla radice (con l’estensione dell’industrializzazione ad una popolazione in crescita vertiginosa) dello stesso “effetto serra” e dei relativi sconvolgimenti climatici. Così, la scarsità d’acqua e le guerre che ne deriveranno sono la prova inconfutabile delle responsabilità gravissime dei capi religiosi e politici che, nell’ultimo mezzo secolo, hanno negato la minaccia demografica consentendo o promovendo, con i loro folli veti alla contraccezione, la moltiplicazione delle popolazioni umane. Si tratta di responsabilità che gli stessi rapporti della CIA e dell’ONU e lo stesso articolo di Satu Hassi, qui ricordati, hanno cura di rimuovere, così come zelantemente rimuovono la causa demografica della tragedia incombente, associandosi alla congiura di silenzio in atto da decenni.

Infine, proprio la prevedibile, prevista e innegabile dipendenza della tragedia dell’acqua dall’esplosione demografica, eliminando gli alibi economici o sociali da sempre accampati per altri problemi odierni, svela la natura folle, cioè psicopatologica, dell’opposizione alla regolazione delle nascite, unica via d’uscita da questa come da tante altre tragedie del nostro tempo, e dimostra l’assurdità di continuare a pensare e a fare la politica con i vecchi strumenti ideologici, confessionali, economici o istituzionali, ignorando gli strumenti della psicologia politica. Il fanatismo politico e religioso è dunque riuscito, con la sua fede che smuove le montagne, anche a distruggere i ghiacciai. Come rilevavo già tre anni fa, la morale è che, se la gente continuerà a bersi il cervello e tutte le idiozie dei Capi e dei Papi infallibili, finirà per morire di sete.

Luigi De Marchi
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