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Anche la sostenibilità è a rischio bolla

L'attualità dei "limiti dello sviluppo"

[ 19 aprile 2013 ]

di Gianfranco Bologna

Questa settimana il Worldwatch Institute ha lanciato il suo rapporto annuale "State of the World 2013" che porta un titolo molto significativo "Is Sustainability Still Possible?" (E' la sostenibilità ancora possibile) . Si tratta di un rapporto veramente interessante che fa il punto sul dibattito della sostenibilità a livello internazionale e sulla sua concreta applicazione partendo proprio dagli abusi del termine e da una comune cultura approssimativa che ha tradotto la sostenibilità in maniera spicciola, presentando un'ampia gamma di prodotti ed attività con il termine "sostenibile". Prodotti ed attività che indicano, nella migliore delle situazioni, pratiche o prodotti che sono leggermente meno dannosi di altri. In pratica presentano un minore livello di insostenibilità. I ricercatori del Worldwatch dicono che ormai si parla di "Sustainababble".
Il rapporto approfondisce molto bene questo tema centrale per il futuro di noi tutti. Infatti la strada non deve essere quella dell'abbandono o del discredito del termine sostenibilità ma invece è necessario lavorare e studiare al meglio, come cerca di dimostrare il rapporto con il contributo di tanti autorevoli esperti della materia, per trovare le dimensioni corrette alla sostenibilità, studiando i modi più accurati per misurarla e per raggiungerla. Avrò modo di tornare più a fondo su questo rapporto di cui, come faccio da 26 anni, sto curando l'edizione italiana.
Il 5 aprile scorso Jorgen Randers ha tenuto a Roma, l'Aurelio Peccei Lecture 2013, lanciando contemporaneamente l'edizione italiana del nuovo rapporto che ha scritto per il Club di Roma, quarant'anni dopo la pubblicazione de "I limiti dello sviluppo" dal titolo "2052. Scenari globali per i prossimi quarant'anni" (e da me curato per Edizioni Ambiente).
Ho già avuto modo di soffermarmi, in questa rubrica, su questo interessante e stimolante rapporto scritto da uno degli autori sia dell'originale rapporto "I limiti dello sviluppo" del 1972 che dei successivi due rapporti, sempre sui limiti, pubblicati rispettivamente, nel 1992 e nel 2004.
Jorgen Randers scrive nell'introduzione al suo volume «Quarant'anni fa, io e i miei colleghi passammo due anni nei nostri uffici al MIT, lavorando senza sosta. Eravamo impegnati a esplorare il futuro e, sotto la direzione di Dennis L. Meadows e con la supervisione di Donella H. Meadow, alla fine presentammo quello che sarebbe diventato un libro famigerato, "I limiti dello sviluppo". Il libro era un'analisi di scenario con la quale tentavamo di rispondere alla domanda "cosa succederà nei prossimi 130 anni se l'umanità deciderà di seguire determinate politiche?. Ci domandammo cosa sarebbe potuto succedere se la comunità globale avesse continuato a perseguire la crescita economica senza considerare il controllo della popolazione. O cosa sarebbe accaduto se l'umanità avesse scelto di impiegare le sue immense capacità tecnologiche (oltre a un po' di denaro) per sviluppare un'agricoltura sostenibile su scala globale. Delineammo parecchi futuri possibili. In alcuni, le cose erano andate per il verso sbagliato; in altri, invece, la situazione era decisamente migliore.
Ciononostante, non presentammo alcuna previsione, ed evitammo di dire che cosa sarebbe effettivamente successo nel XXI secolo perché non pensavamo fosse possibile farlo con sufficiente rigore scientifico. Tra il 1970 e il 2100 sarebbero potute succedere così tante cose che non pensavamo di essere in grado di scegliere uno tra i futuri possibili e di difendere la nostra scelta.
Presentammo invece un'analisi di scenario, e provammo a dire qualcosa sui possibili risultati di determinate scelte politiche. Cercammo di descrivere i possibili effetti dell'accelerazione nella ricerca di soluzioni tecnologiche ai problemi più gravi dell'epoca, come la sovrappopolazione, la scarsità di cibo e materie prime e i crescenti impatti ambientali delle attività umane. Ci servimmo di un modello computerizzato per capire cosa sarebbe potuto avvenire se si fosse deciso di limitare i consumi procapite di risorse o il numero di figli per donna.
Ci sforzammo di rendere coerenti fra loro i vari scenari proposti. Ci sforzammo perché lo sviluppo della popolazione risultasse logicamente coerente con le nostre assunzioni sulle dimensioni dei nuclei famigliari, e perché le caratteristiche di queste ultime non fossero in contraddizione con i livelli di istruzione e di accesso alle cure mediche effettivamente disponibili. In aggiunta, le soluzioni tecnologiche che ritenevamo plausibili non comparivano spontaneamente nei nostri scenari, ma solo dopo decenni di ricerche, tentativi ed esperimenti su scala pilota. Per evitare qualunque contraddizione, incorporammo tutte le nostre assunzioni nel nostro modello informatico, che ci aiutò anche a evitare di trarre conclusioni illogiche a partire dai presupposti che avevamo scelto.
La principale conclusione risultante dal lavoro fatto agli inizi degli anni Settanta fu che, in mancanza di cambiamenti significativi, l'umanità rischiava di spingersi pericolosamente oltre i limiti fisici del nostro pianeta. Questa conclusione derivava dall'osservazione (chiarissima per noi, ma non per tutti) che all'umanità serve tempo per risolvere i problemi derivanti dalla finitezza del pianeta (ovvia per noi, ma non per tutti)».
"I limiti dello sviluppo" del 1972, un volume destinato a fare epoca, presentava le analisi, le riflessioni ed i risultati di una ricerca che - impiegando per la prima volta elaboratori elettronici per la costruzione di modelli di simulazione matematica del sistema mondiale - cercava di comprendere le tendenze e le interazioni di cinque fattori dai quali dipende la sorte delle società umane nel loro insieme (l'aumento della popolazione, la disponibilità di cibo, le riserve ed i consumi di materie prime, lo sviluppo industriale e l'inquinamento) in un periodo relativo ai successivi 130 anni.
Il volume fu pubblicato quando ancora non si disponeva delle notevoli conoscenze che abbiamo raccolto, nei decenni successivi alla pubblicazione del volume, grazie anche all'utilizzo dei satelliti da telerilevamento, nonché dalle profonde ricerche nel campo delle scienze del sistema Terra e dall'utilizzo dei megasupercomputer.
Nonostante le carenze che allora ancora avevamo sulle conoscenze della dinamica del sistema Terra, il rapporto del MIT al Club di Roma scatenò un dibattito internazionale di enormi proporzioni. Al di là di alcune intrinseche debolezze dovute alla semplificazione dell'intero modello mondiale in una simulazione elettronica ancora approssimativa anche perché semplice e sperimentale, esso ha avuto e manterrà sempre il grande merito di aver colpito seriamente il mito della crescita che ha sempre avuto un ruolo egemone nella cultura delle nostre società, in particolare nell'ultimo secolo.
Non è un caso che in quegli anni gli attacchi al rapporto provenissero da tutti quei fronti ideologici e politici che non mettevano minimamente in discussione il concetto di crescita economica materiale e quantitativa delle società umane e la nostra evidente impossibilità di sorpassare i limiti dei sistemi naturali del nostro pianeta.
Le conclusioni del rapporto del 1972 furono le seguenti:
Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.
È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all'opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.
Se l'umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.
Nessun documento è stato capace di scatenare un dibattito così significativo sul dogma della crescita economica come è riuscito a fare "I limiti dello sviluppo".
La politica e l'economia hanno fatto veramente molto poco, in questi decenni, per invertire seriamente la tendenza degli effetti disastrosi di una continua crescita materiale e quantitativa dell'impatto della nostra specie sul nostro pianeta ed oggi cominciamo a pagarne conseguenze sempre più significative.
Diventa quindi veramente difficile immaginare che una continua crescita economica, scontrandosi sempre più con i limiti ambientali, possa proseguire indisturbata ed è francamente preoccupante che questa "visione" sia ancora dominante nella politica e nell'economia mondiali. Siamo sempre più consapevoli che non può esistere una sostenibilità del nostro sviluppo sociale ed economico se cerchiamo continuamente di oltrepassare i limiti delle dimensioni biofisiche dei sistemi naturali e se indeboliamo la loro vitalità.
Diventa sempre più urgente e necessario "voltare pagina".
Secondo Randers ed il suo scenario il processo di adattamento dell'umanità ai limiti del pianeta è lentamente iniziato. Nel corso dei prossimi quarant'anni, gli sforzi per limitare la nostra impronta ecologica continueranno. La futura crescita della popolazione globale e il PIL saranno vincolati non solo da questo sforzo, ma anche dal rapido declino della fertilità a causa dell'urbanizzazione, dal declino della produttività a causa dei disordini sociali e dal perdurare dello stato di povertà di due miliardi di cittadini del mondo.
Allo stesso tempo, ci saranno progressi significativi nell'efficienza dell'utilizzo delle risorse e nelle soluzioni eco-compatibili. Ci sarà anche uno spostamento dell'attenzione verso il benessere umano piuttosto che per la crescita del reddito pro capite.
Sulla base del vasto database che sottende all'elaborazione di "2052" appare che la risposta umana sarà comunque troppo lenta. Il fattore più critico saranno le emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane. Queste emissioni resteranno così alte che i nostri nipoti molto probabilmente dovranno convivere con un significativo riscaldamento globale nella seconda metà del XXI secolo.
Secondo "2052" la popolazione globale raggiungerà il livello massimo prima del previsto a causa della fertilità che diminuirà drammaticamente tra la popolazione sempre più urbanizzata. La popolazione dovrebbe raggiungere il suo picco di 8.1 miliardi di persone subito dopo il 2040 e poi inizierà a decrescere. Il PIL globale crescerà più lentamente del previsto a causa della più bassa crescita della popolazione e i tassi di crescita della produttività scenderanno. Il PIL globale dovrebbe raggiungere 2,2 volte i livelli attuali intorno al 2050. La crescita della produttività sarà più lenta rispetto al passato sia a causa dei crescenti conflitti sociali che delle interferenze negative generate da condizioni meteorologiche estreme. Il tasso di crescita del consumo mondiale rallenterà perché una quota maggiore del PIL dovrà essere riallocata negli investimenti - al fine di risolvere i problemi creati dall'esaurimento delle risorse, dall'inquinamento, dai cambiamenti climatici, dalla perdita della biodiversità e dall'ingiustizia sociale. Il consumo globale di beni e servizi dovrebbe raggiungere l'apice nel 2045. Come conseguenza di un aumento degli investimenti sociali nei decenni a venire (anche se spesso involontario e in reazione alla crisi) i problemi riguardanti la crisi delle risorse e del sistema climatico non diventeranno catastrofici prima del 2052. Ma ci sarà molta inutile sofferenza a causa dell'ininterrotto danno climatico verso la metà del XXI secolo. La mancanza di una specifica ed energica risposta nella prima metà del XXI secolo metterà il mondo su una pista pericolosa nella direzione dell'auto-rafforzamento del riscaldamento globale nella seconda metà del XXI secolo.
La crescita lenta dei consumi pro capite in gran parte del mondo (e la stagnazione del mondo ricco), porterà ad un aumento di tensioni sociali e conflitti, riducendo ulteriormente la crescita ordinata della produttività. L'enfasi dominante sulle prospettive di breve periodo basate sul capitalismo e la democrazia faranno sì che le decisioni sagge e lungimiranti necessarie per il benessere a lungo termine non saranno realizzate in tempo. La popolazione mondiale sarà sempre più urbana e meno disposta a proteggere la natura per il suo stesso interesse. La biodiversità soffrirà.
L'impatto sarà diverso tra le cinque regioni analizzate nel libro: gli Stati Uniti; le altre nazioni dell'OCSE (compresa l'Unione europea, il Giappone e il Canada, e la maggior parte degli altri paesi industrializzati); la Cina; il gruppo del BRISE (Brasile, Russia, India, Sud Africa, e dieci altre grandi economie emergenti); e il resto del mondo (i restanti 2,1 miliardi di persone in fondo alla scala del reddito). Il perdente più inatteso sarà l'attuale élite economica, in particolare negli Stati Uniti (che sperimenteranno una stagnazione dei consumi procapite per la prossima generazione). La Cina sarà la vincitrice. I paesi raggruppati nel BRISE faranno dei progressi. Il resto del mondo rimarrà povero. Tutti - e in particolare i poveri - vivranno in mondo sempre più disordinato e danneggiato dal cambiamento climatico.
Lo scenario che emerge dal volume di Jorgen Randers nella straordinaria tradizione dei rapporti sui limiti della crescita voluti dal Club di Roma, costituisce una documentata e articolata analisi della necessità di non perdere ulteriore tempo prezioso. Abbiamo bisogno di una democrazia capace di maggiore rapidità decisionale; i grandi cambiamenti globali che abbiamo pericolosamente indotto nei sistemi naturali del nostro pianeta lo richiedono.

Da http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=21561

 

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