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Da "Notizie Radicali" del 14/07/2011

TAV: diverse visioni del mondo

di Luca Pardi

Tornando, a freddo, sulla questione della TAV, ciò che mi interessa qui è discutere l'origine delle posizioni pro e contro la TAV nel nostro partito. Perchè tali posizioni sono rivelatrici di una frattura culturale che da anni non trova una possibile conciliazione.
La componente pro-TAV è stata ormai convinta che ci sia si un problema energetico e ambientale (e questo è già un risultato), ma pensa che si possa risolverlo restando all'interno del paradigma economico che ha dominato il mondo industriale dalla sua nascita e il mondo intero negli ultimi decenni. Il paradigma della crescita infinita. Il problema energetico, che esso si presenti sul lato dell'offerta di combustibili fossili (Picco del Petrolio ecc.) o sul lato della saturazione degli ecosistemi con i rifiuti del sistema industriale (questione climatica ecc.) si risolve sviluppando nuove tecnologie, facendo avanzare quelle rinnovabili e mettendo in atto politiche di risparmio ed efficienza. L'avanzamento tecnologico e il mercato permetteranno di passare indenni dalla crisi ecologica e delle risorse, mantenendo un livello di crescita dell'economia tale da aumentare il benessere di tutti.
La TAV rientra in questa legittima visione. A meno di considerazioni quantitative sbagliate sulla cui natura ed entità non entro perché altri le conoscono meglio di me e le hanno sviscerate ampiamente nelle scorse settimane sui giornali e anche su “Notizie Radicali”. L'assunto è che il commercio internazionale sia destinato ad aumentare, anzi la TAV stessa potrebbe essere di stimolo a nuovi interscambi, e allora se non si vuole che aumenti il trasporto su gomma e non si vuole relegare il nostro paese e il Piemonte in un vicolo cieco disconnesso dal resto del mondo, si deve fare una nuova linea ferroviaria. La nuova linea sarà lo stimolo per le imprese ad investire in Piemonte, porterà occupazione, ricchezza e modernità. Questa la narrativa che, senza giudizi di merito, chiamiamo "sviluppista". Capisco che per molti questo scenario possa apparire desiderabile. Lo sarebbe anche per il sottoscritto se non avesse da tempo ingoiato la pasticca blu.
“Rientrodolce” ha sviluppato un proprio punto di vista radicalmente diverso del mondo. Che, in relazione ai limiti della crescita, potremmo definire: "limitista". L'aumento del costo dell'energia è solo uno dei sintomi di una crisi sistemica, della quale la crisi finanziaria in cui siamo immersi da due anni è il fenomeno maggiormente visibile (e spesso anche l'unico analizzato), che ha come origine la condizione di overshoot ecologico della specie umana; o, se vogliamo tornare a Aurelio Peccei, il raggiungimento dei limiti dello crescita. Le diverse componenti di questa crisi: quella economica, quella energetica e quella ecologica si combinano in una tempesta perfetta, che ha come presupposto l'esplosione della bomba demografica, e dalla quale è impossibile uscire senza cambio di paradigma.
Con la fine del petrolio a buon mercato la fase espansiva è finita, per lo meno se ci si riferisce al livello globale, localmente chi vorrà e riuscirà potrà ancora tendere ad un certo livello di crescita economica (e questo sarebbe perfino necessario e dunque desiderabile per molti paesi sottosviluppati), possibilmente, come diceva Ivan Illich, senza passare dai percorsi distruttivi del produttivismo industriale occidentale e dedicandosi ad espandere il benessere piuttosto che la dimensione della popolazione e senza passare per il regime del consumo compulsivo. Perseverare sulla strada di questo globalismo economico diretto da entità sovranazionali senza alcun controllo democratico controllate da oligarchie insondabili, è destinato a portarci solo verso il conflitto permanente per le risorse residue e la catastrofe sociale.
Al contrario le politiche da mettere in campo sono quelle che aumentano la resilienza delle comunità locali, certamente interconnesse, ma largamente autosufficienti dal punto di vista alimentare, energetico ed industriale. La vera grande opera che un paese delle dimensioni dell'Italia dovrebbe realizzare è fatta di piccoli-grandi interventi, evitando le opere faraoniche: una ricostituzione delle linee di ferroviarie locali, una elettrificazione spinta sostenuta dalle nuove fonti di energia rinnovabile più abbondanti, una graduale disintossicazione del suolo agricolo con passaggio a sistemi di coltura che ne mantengano la fertilità, l'arresto definitivo dell'opera di cementificazione del territorio, la determinazione di un tetto alla crescita della popolazione. Non c'è spazio per opere faraoniche.
Chi è contrario alla TAV non è contro le ferrovie più di quanto chi si oppone al ponte sullo stretto di Messina non sia contrario ai ponti. In ultima analisi è una questione energetica, le opere faraoniche presuppongono una ulteriore complessificazione di un sistema che inevitabilmente và verso una semplificazione. O si governa la semplificazione o ci si espone al collasso. Nella storia molte civilizzazioni hanno sperimentato gli effetti di una semplificazione estrema cioè di un collasso, ma questa sarebbe la prima volta che ciò accade con una civilizzazione che ha esteso la sua nicchia ecologica all'intero pianeta (a parte poche marginali ridotte di società primitive) e coinvolge la vita di miliardi di persone.
La contrapposizione ideologica, che potremmo anche considerare secondaria, si riflette in scelte molto concrete, che implicano la scelta di come impegnare le risorse residue. Tutto qui. E non è poco.

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