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"Sindrome da crescita" di Derek J. Wilson Stampa E-mail

SINDROME DA CRESCITA — ECONOMIA SENZA FONDAMENTO

di Derek J. Wilson — Ottobre 2005
traduzione di Carpanix

 

Leggete un qualsiasi giornale o ascoltate la TV e la radio e con ogni probabilità la vostra attenzione verrà indirizzata verso affermazioni di politici, economisti o uomini d’affari — a volte tutti quanti — secondo le quali il nostro benessere economico futuro dipende dalla crescita. Quest’idea tradizionale dell’economia, basata sulla convinzione che la crescita possa continuare ad attingere impunemente dal capitale naturale del pianeta piuttosto che vivere degli interessi, non ammette altri punti di vista. Prenderemo qui in esame quest’economia priva di fondamento, principale responsabile della povertà di massa che porta un quinto della popolazione mondiale a malnutrizione, malattia e morte, in particolar modo tra i bambini. Il Dr. John Peet scrive: «Sul lungo periodo, la crescita economia così come la si intende oggi è semplicemente insostenibile». [1] Le “cure” tecnologiche o economiche, in assenza di interventi sulle cause di fondo, non risolveranno il problema principale. La strada che stiamo seguendo può solo portare alla bancarotta.

Come disse così chiaramente Aristotele nel IV secolo a.C.:

L’arte del lucrare non conosce limiti, giacché i suoi fini sono il denaro e il possesso; invece, l’economia ha dei limiti, giacché il lucro non è il suo vero fine… il semplice accumulare denaro è cosa diversa dalla ricchezza, ed è quest’ultima il vero fine dell’economia.

Nel 1967 Lynn White, Docente di Storia presso l’Università della California, suggerì quello che mi sembra un motivo razionale per la nostra situazione sempre più critica.

La cristianità, in assoluto contrasto con l’antico paganesimo e con le religioni asiatiche, non solo ha stabilito un dualismo tra l’Uomo e la Natura, ma ha anche messo in rilievo che lo sfruttamento dell’Uomo sulla Natura allo scopo di conseguire i propri fini sarebbe volontà di Dio… La cristianità porta sulle proprie spalle un carico enorme di colpe per quell’attitudine che vorrebbe l’Uomo al di sopra della Natura, irridente nei confronti di questa, desideroso di piegarla ai propri capricci… Continueremo ad avere crisi ecologiche sempre peggiori, fino al punto in cui dovremo rinnegare l’assioma cristiano secondo il quel la Natura esiste esclusivamente per servier l’Uomo. [2]

Condividono questo punto di vista i politici, gli economisti tradizionali e sicuramente la maggior parte dei dirigenti d’impresa per i quali la crescita ed il profitto vengono prima della gente.

Il termine economia viene dal greco oikonomia, che deriva da due parole: oikos, che significa casa o affari domestici, e nomos, che significa regola o legge. Dunque, quando parliamo di economia ci riferiamo letteralmente alla gestione attenta e parsimoniosa del capitale familiare per il bene a lungo termine di tutti i suoi membri. Ampliando questo concetto alla comunità mondiale avreste un fondamento sicuro per l’economia globale. Però, il concetto originale di oikonomia è stato totalmente sostituito da quel che è noto come crematistica, dal greco khrimatistikos, ovvero da quel ramo dell’economia politica che si occupa della manipolazione della proprietà e della ricchezza al fine di massimizzare il valore degli scambi monetari a breve termine, a tutto vantaggio del proprietario. In oikonomia esiste il concetto di abbastanza; in khrimatistikos quel che è di più è sempre meglio. Oggi, nel mondo, gli investimenti sono in massima parte hot (roventi) — speculativi, ovvero del tipo crematistico — e di corto respiro. Nel 1970, il commercio e gli investimenti a lungo termine costituivano il 90% delle transazioni; nel 1995 gli investimenti speculativi ne costituivano il 95%. [3]

La forma globale assunta dall’economia (sono pochi i limiti nazionali rimasti) è un fenomeno nuovo e caratteristico del XX secolo. Le nazioni hanno perso la propria sovranità e i governi la propria capacità di controllo a tutto vantaggio di una sorta di leviatano autoeletto eccezionalmente potente ed occulto, alla testa del quale stanno i principali imperi bancari e le compagnie transnazionali (“TNC”, Transnational Corporations - N.d.T.]. Questi sono diventati «il vero potere del pianeta; i governi di fatto che operano al di fuori della legge… I governi si sono tramutati in semplici camerieri delle compagnie transnazionali» che hanno creato «la nuova anarchia globale del mercato internazionale». [4] Nei fatti, il mondo è oggi governato da un sistema finanziario globale non più sotto controllo. Nel 1994-95, al solo scopo di accumulare utili finanziari (ovvero utili senza alcuna relazione con investimenti produttivi o commercio di beni e servizi concreti), questa piovra ha spostato elettronicamente per il mondo 1,3 trilioni di dollari (1.300.000.000.000 dollari) ogni ventiquattr’ore sotto forma di cifre sugli schermi dei computer. 9 trilioni alla settimana, 40 trilioni al mese, 475 trilioni l’anno. [5] Il movimento giornaliero del 1980 era di 80 miliardi di dollari; sul finire del 2002 era esploso fino a raggiungere i 6 trilioni di dollari. Questa speculazione, «questo mare di contante che sciaborda da una spiaggia all’altra», può provocare facilmente il crollo di intere economie e gettare popoli interi nella povertà. Gli economisti (o chiunque altro) ci diranno mai esattamente cosa accadrà quando queste enormi ed instabili masse controllate elettronicamente cederanno, come è certo che faranno?

Siamo stati sedotti da questa mania eccezionalmente patologica, da questo apparentemente inattaccabile mantra dell’etica della crescita continua — «l’ideologia delle cellule cancerose», [6] qualcosa di assolutamente impossibile su questa nostra Terra. In questo processo, il denaro (ovvero l’elemento trainante dell’economia odierna) è diventato la principale fonte di valori e significato per molti umani, un sostituto per quella moralità e quella spiritualità che tradizionalmente sono state una forza unificatrice. Proprio come un cancro in continua crescita finisce per distruggere il suo sistema di sostentamento uccidendo l’organismo ospite, l’economia globale in continua espansione sta certamente distruggendo senza alcuna pietà il suo ospite — l’ecosistema terrestre. Per citare un esempio tra i molti che abbiamo intorno, le flotte di pescherecci stanno rapidamente causando un disastro ecologico marino, portando all’estinzione le riserve ittiche del mondo intero.

Questa sindrome da crescita — la causa principale del peggioramento dei nostri problemi globali — richiede con urgenza il più attento esame, dal momento che (come afferma Herman Daly, fino a poco fa economista esperto del dipartimento ambientale della Banca Mondiale a Washington):

Solo negli ultimi 200 anni la crescita ha fatto davvero parte delle nostre vite [cioè dall’inizio della Rivoluzione Industriale]. Prima di allora la crescita su base annuale era impercettibile. L’idea che dobbiamo crescere o morire non è supportata dalla storia, ed io credo che sia alquanto più probabile il contrario: se continuiamo a crescere, moriremo sicuramente. [7]

Jenny Wright indica chiaramente le falle del paradigma della crescita:

La saggezza economica convenzionale, che è basata sulla crescita perpetua del materialismo di qualcosa come il 3% annuo, si trova oggi in difficoltà di fronte al concetto di sviluppo sostenibile. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che gran parte di quel che viene spacciato per sviluppo è in realtà la distruzione ecologica della biosfera, e che gran parte di quelli che vengono spacciati per investimenti sono in realtà consumi. In verità, è dovuto al fallimento dell’economia nel riconoscere che esiste più vita che soldi, e molta più terra che affitti. La pratica di prendere dalla natura potrebbe continuare impunemente solo se le le risorse del pianeta fossero infinite, o se Madre Natura fosse infinitamente capace di riparare le devastazioni indotte dall’Uomo. Sfortunatamente, nessuna di queste condizioni è vera… La domanda ecologica complessiva sta superando l’offerta ecologica totale, e imporrà un carico sempre più elevato sulla biosfera. [8]

Ci si trova costretti ad essere d’accordo con i sempre più numerosi internazionalisti che sostengono che, in massima parte, politici, economisti e dirigenti del mondo degli affari sono fuori di testa. Wright ha citato i consumi. Con la crescita economica, inevitabilmente, arriva la crescita dei consumi. (The Shorter Oxford Dictionary definisce la parola consumare come «sottrarre o distruggere; sprecare o dissipare; esaurire»). L’espansione senza precedenti delle spese mondiali per i consumi si può ricavare da queste cifre:

  • 1900 $1.5 trilioni
  • 1950 $4.0 trilioni
  • 1975 $12.0 trilioni
  • 1998 $24.0 trilioni [9]

Sfortunatamente e per scelta, le diseguaglianze dei consumi sono diventate evidenti. Il sistema del falso mercato, costruito e diffuso così rapidamente, deve sostenere ripetuti rialzi per poter continuare a funzionare. Ciò richiede che il sovraconsumo del mondo occidentale ed occidentalizzato venga mantenuto e diffuso al mondo intero il più rapidamente possibile. L’analista Victor Lebow ci ha avvisati dei pericoli di un percorso così distruttivo: «La nostra economia enormemente produttiva richiede che facciamo dei consumi uno stile di vita, che convertiamo in rituali l’acquisto e l’uso dei beni, che cerchiamo nei consumi la soddisfazione dello spirito e dell’ego… Abbiamo bisogno che le cose vengano consumate, bruciate, usurate, sostituite e scartate ad una velocità sempre maggiore».

Il direttore generale dei laboratori di ricerca della General Motors, Charles Kettering, ha fornito una succinta risposta a come si potrebbe ottenere quel risultato quando ha detto che la missione degli affari è «la creazione organizzata dell’insoddisfazione». [10] La gente viene sempre più persuasa e manipolata affinché abbracci il consumismo per mezzo di un’insidiosa industria pubblicitaria multimilionaria che ha le conseguenze più devastanti per l’ambiente e per il nostro futuro. E qual è l’obiettivo principale di quest’industria incessante, vorace e spietata? I bambini — più giovani sono, meglio è.

Mentre le disuguaglianze continuano a crescere: «In media, la produzione economica aggiuntiva di ciascuno degli ultimi quattro decenni ha eguagliato quella aggiunta dall’inizio della civiltà al 1950». [11] Ho riportato in corsivo questa frase per enfatizzarne la significatività. Mentre avveniva questa crescita fenomenale, ovvero nel quarantennio compreso tra il 1950 e il 1990:

  • La popolazione mondiale è raddoppiata.
  • La quantità di coloro che vivono in assoluta povertà è raddoppiata.
  • Il divario tra ricchi e poveri è aumentato di sei volte. [12]

Vandana Shiva evidenzia che la crescita continua dell’attività economica guidata esclusivamente dalle forze economie del mercato può alla fine portare solo a una situazione nella quale il prelievo totale di risorse naturali, tanto per la soddisfazione dei bisogni essenziali quanto per la crescita di settore, supera la rinnovabilità delle risorse naturali. A quel punto, il Prodotto Interno Lordo continua a crescere mentre il Prodotto Naturale Lordo comincia a calare… Se si consente che il processo di declino della rinnovabilità delle risorse superi un punto critico, il processo di degrado diviene irreversibile… La storia delle civiltà Romana e Mesopotamica costituisce un esempio del collasso totale di una società imputabile all’erosione dell’economia della natura. [13]

Ronald Wright analizza brillantemente questi e altri collassi nelle sue cinque Massey Lectures del 2004, successivamente pubblicate come A Short History of Progress. Un altro valido libro che affianca quello di Wright è Collapse: How Societies Choose to Fail or Survive, di Jared Diamond, tradotto in italiano col titolo di Collasso.

George Soros, un capitalista di succeso, ha ritenuto di aggiungere il proprio peso alle crescenti critiche rivolte al percorso che stiamo seguendo.

Sebbene io abbia accumulato una fortuna coi mercati finanziari, ora temo che l’intensificazione sfrenata del capitalismo del “lasciar fare” e l’allargamento dei valori del mercato ad ogni ambito della vita stiano mettendo in pericolo la nostra società aperta e democratica. Credo che il nemico principale della società aperta non sia più la minaccia comunista, ma la minaccia capitalista. [14]

È importante che ci assicuriamo che i benefici della crescita economica vengano condivisi da tutti, ma il mondo reale non funziona così. La crescita e la concentrazione della ricchezza, che si è fatta oscena, assicura che con il sistema economico attuale non ci sarà mai abbastanza per ciascuno, specialmente con una popolazione che continua a crescere. Oggi come oggi, una persona su cinque vive con meno di un dollaro al giorno, mentre il 5% in cima alla piramide gode dell’85% dei beni materiali. Tenete a mente che nel 1900 la popolazione umana del pianeta assommava a 1,6 miliardi; oggi assomma a 6,5 miliardi — la maggiore esplosione demografica di tutti i tempi. Eppure, la Terra è sempre la stessa, sempre con le stesse limitate risorse. Gli effetti ambientali di quest’enorme esplosione sembrano ancora sfuggirci. È essenziale comprendere che non è solo l’espansione della popolazione ad esaurire le risorse e intensificare l’inquinamento, ma anche la natura stessa di un sistema orientato alla crescita e al profitto. Così, «una persona nata negli Stati Uniti rappresenta per la Terra un disastro doppio rispetto ad uno nato in Svezia o in Russia, triplo rispetto ad uno nato in Italia, 13 volte maggiore rispetto ad uno nato in Brasile, 35 volte maggiore rispetto ad uno nato in India, 140 volte maggiore rispetto ad uno nato in Bangladesh o in Kenia, e 200 volte maggiore rispetto ad uno nato nel Ciad, in Ruanda, ad Haiti o in Nepal». [15]

Nel 1972, il Club di Roma sorprese il mondo con il suo studio, Limits to Growth, che giungeva alla conclusione che:

  • Se la popolazione avesse continuato a crescere come stava facendo [e come ha continuato a fare], la società sarebbe rimasta prima di risorse rinnovabili entro il 2070, col risultato di massicce morie.

  • Anche se la disponibilità di risorse fosse in qualche modo raddoppiata, il collasso si sarebbe verificato a causa dell’inquinamento.

Lo studio era il più accurato possibile per quei tempi. Le autorità non diedero ascolto a quello studio; apparentemente non avevano alcuna intenzione di ascoltarlo; potrebbe essere che non fossero in grado di ascoltarlo; mentre in generale l’opinione pubblica sapeva ben poco di quanto stava accadendo — una situazione che non è cambiata un gran che. Due anni prima, nel 1970, i giacimenti petroliferi statunitensi raggiunsero il proprio picco produttivo massimo per poi cominciare lentamente e irrevocabilmente a declinare. Ora anche la produzione petrolifera globale ha raggiunto il suo picco massimo o lo raggiungerà nel prossimo futuro. Dal momento che gran parte del mondo impiega l’energia fornita dal petrolio, quest’evento non può che avere effetti catastrofici. Quando le autorità si accorgeranno che

NON È IN VISTA ALCUNA COMBINAZIONE DI FONTI DI ENERGIA IN GRADO DI SUPPORTARE ANCHE SOLO UNA PICCOLA PARTE DELLO STILE DI VITA AL QUALE IL MONDO OCCIDENTALE ED OCCIDENTALIZZATO SI È ABITUATO

Stiamo già vivendo in un mondo grossolanamente inefficiente del quale il New World Order ha grandemente diminuito il capitale, portando a quel tipo di povertà globale descritta da Christopher Richards come «caratterizzato da sentimenti di disperazione, inutilità, vergogna, depressione e disperazione, così come di delusione e a volte di aggressività e violenza».

Per tirare le somme. Al cuore di questa crisi globale di ampie e grossolane disparità stanno due difetti letali.

  • Un sistema economico capitalista assolutamente non funzionale, basato sulla crescita e sul libero scambio e al quale i capitalisti mondiali rimangono fedeli a dispetto di ogni altra considerazione, ha dato il via ad un’enorme distruzione per mezzo della promozione dei consumi ad ogni costo, del materialismo e degli sprechi. Quello stesso sistema economico ha promosso un sensibile desiderio di condividere lo stesso stile di vita distruttivo in un mondo in via di sviluppo già fortemente degradato e sfruttato.

  • I vari e complessi ecosistemi naturali della Terra, dai quali dipende tutta la vita e sulla conoscenza dei quali dovrebbe essere basata l’intera economia umana, vengono trattati come se fosse infiniti e, in massima parte, gratis.

Le soluzioni politiche non possono rendere più umane le basi economiche fallaci che stanno al cuore del problema poiché, essendo esse non umane, sono insensibili alle forze della ragione.

In Before It Is Too Late Aurelio Peccei e Daisaku Ikeda scrissero:

È giunto il tempo di rivedere completamente il nostro modo di intendere le cose, anche se ciò scuote alla base la nostra fiducia nella rivoluzione materiale e nei concetti di progresso, ricchezza, benessere e civiltà che abbiamo costruito in quest’epoca. Se vogliamo marciare in sicurezza e serenità verso il futuro, sono indispensabili nuove linee di pensiero ed azione. Tra esse è essenziale la considerazione che nessun problema può essere affrontato adeguatamente (figuriamoci risolto), nessuno sviluppo economico o sociale è possibile, nessun piano può essere realizzato e nessuna eredità può essere efficacemente lasciata ai nostri figli, assolutamente nulla può durare fino a quando e a meno che non riusciremo a ristabilire la pace e l’armonia con la Natura. Insieme allo sviluppo umano, questo è l’imperativo fondamentale della nostra epoca e una delle principali conclusioni da trarre dalle nostre riflessoni sull’ascesa dell’uomo moderno ad una posizione di potere e responsabilità senza precedenti su questo nostro piccolo e vulnerabile pianeta. Tutte le altre considerazioni possono essere solo secondarie. [16]

Questa esortazione è stata scritta nel 1984. Da allora, quali veri miglioramenti sono stati attuati?

 

di Derek J. Wilson — Ottobre 2005
Traduzione di Carpanix
Versione originale in inglese: fai click qui.

 

Riferimenti

  1. Dr John Peet. Future Times, Vol 2 2005. New Zealand Futures Trust.
  2. Lynn White. Science, marzo 1967.
  3. Noam Chomsky. Guardian Weekly, 24 maggio 1998.
  4. The War & Peace Digest, Vol 4, No 1, aprile/maggio 1996.
  5. New Internationalist, No 342, gennaio/febbraio 2002.
  6. Edward Abbey. The Fools Paradise, Henry Holt, New York, 1988.
  7. Gordon e David Suzuki. It’s a Matter of Survival, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1991.
  8. Jenny Wright. The New Economics of Sustainable Development. Un articolo presentato alla Canadian Association dal Club of Rome, Ottawa, marzo 1992.
  9. United Nations Development Programme. Human Development Report 1998, Oxford University Press, 1998
  10. Juliet B Schor. The Overworked American: The Unexpected Decline of Leisure, Basic Books, New York, 1991.
  11. UN Department of International Economic and Social Affairs. World Demographic Estimates and Projections, 1950-2025, United Nations, New York.
  12. Ibid.
  13. Vandana Shiva. Ecology and the Politics of Survival, United Nations University Press, New Delhi, Newbury Park, Sage Publications, 1991.
  14. Atlantic Monthly, febbraio 1997.
  15. Paul e Anne Ehrlich. Too Many Rich Folk, Populi, marzo 1989.
  16. Aurelio Peccei e Daisaku Ikeda. Before It Is Too Late, Kodansha Europe, London, 1984.
  17. Questo articolo è tratto da http://www.oilcrash.com/italia/wilson04.htm

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